Privacy e Whatsapp, quando il “Garante” chiama è meglio rispondere


whatsapp

 

 

A fine 2012 ha raggiunto la smisurata cifra di 18 miliardi di messaggi scambiati, è una delle applicazioni di messaggistica istantanea per smartphone più famose al mondo e per tale motivo ha gettato nel baratro gli sms di sempre ma da qualche giorno Whatsapp ha gli occhi del Garante per la privacy degli utenti dello stivale italiano puntati addosso. L’intervento volto ad apprendere quante più informazioni utili sul trattamento dei dati perviene da un importante rapporto sviluppato dai Garanti per la privacy canadesi e olandesi dal quale si evincono alcune perplessità nel funzionamento dell’applicazione con conseguenti, possibili, rischi riguardanti la protezione dei dati personali degli utenti. Tutti gli utilizzatori di Whatsapp prima di poter chattare liberamente devono consentire all’applicazione ad accedere alla rubrica dei contatti del telefonino di ultima generazione, o tablet in alternativa, recuperando, in questo modo, dati su soggetti terzi, sia che essi siano in possesso della stessa applicazione o meno. Tra le criticità più evidenziate vi è quella che riguarda la conservazione dei dati ed il loro possibile utilizzo da parte di soggetti non autorizzati. Dal Garante, dunque, si apprende che Whatsapp inc. deve far sapere quali tipi di dati vengono immagazzinati e usati dopo aver effettuato l’iscrizione al servizio nonché durante l’utilizzo dello stesso (messaggistica e condivisione file), secondo quali modalità vengono raccolti, conservati ed infine protetti. In particolare sono importanti le misure per la protezione, ovvero cifratura e generazione delle credenziali, affinché si limitino le intrusioni nelle banche dati, i sistemi di controllo da attacchi esterni volti all’acquisizione illecita del contenuto dei messaggi scambiati. Inoltre è stata anche inviata una richiesta per conoscere l’intervallo temporale durante il quale i dati vengono conservati ed il numero degli account che potrebbero corrispondere ad utenti italiani.

Malgrado l’uso di questi sistemi sia quasi diventato fondamentale per la vita di tutti i giorni, sono parecchi gli uomini e le donne che si rifiutano di lasciar galleggiare nell’immensa rete globale di internet i propri dati personali, sopravvivendo con metodi quasi in disuso. Spesso li critichiamo per questo, ma se davvero avessero ragione? Probabilmente vivere in questa epoca vuole anche significare condividere parte dei propri dati con gli altri, eppure il Garante deve giustamente impegnarsi perché certi limiti non vengano superati, spostati o, peggio ancora, sradicati o abbattuti. Gli utenti saranno disposti a pagare un piccolo canone annuale per l’utilizzo di Whatsapp ma difficilmente saranno pronti a pagare per un servizio che mina la privacy individuale; se il Garante chiama è bene rispondere!

 

Paolo Licciardello

 

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