A cinque giorni dall’uscita dell’ebook “A tale from Norwich” conosciamo meglio i due autori di quest’opera intrigante, Chiara Listo e Giuseppe Vitale.
Quattro piacevoli chiacchiere “virtuali” ed un caffè letterario per entrare piacevolmente in contatto con questo romanzo a quattro mani.
1) Prima domanda breve e coincisa: “A tale from Norwich” come è nata l’idea del libro?
Chiara e Giuseppe: « Avevamo da tempo l’idea di scrivere un romanzo a quattro mani. Scriviamo entrambi da molto tempo, abbiamo partecipato a qualche concorso, certo, ma quando è nata, l’idea del romanzo si profilava più che altro come un esercizio di scrittura. Il primo nucleo del romanzo è stato ideato dopo una partita a un gioco di ruolo. La storia che abbiamo scritto, per buona parte, è stata vissuta e “sofferta” da noi e da alcuni amici. Abbiamo considerato che la trama era particolarmente bella e ben riuscita e, con alcune modifiche, ne abbiamo fatto un romanzo.»
2) Riuscire ad emozionare attraverso le parole è un’impresa ardua. Qual’ è il messaggio che volete mandare attraverso questa prima opera?
Giuseppe: «E’ ovvio. “Se cercate di riportare in vita un vostro caro estinto ricordatevi che molto probabilmente le cose non andranno come pensate. E soprattutto scorrerà del sangue. Tanto sangue.”»
Chiara: «“Non fate come una delle nostre protagoniste: cercate sempre sul vocabolario il significato delle parole che non capite. Sempre. Non si sa mai.” No, a parte gli scherzi: vogliamo parlare di una storia fatta di estreme conseguenze, di personaggi forti che si scontrano contro enormi problemi dettati da scelte che hanno fatto in passato; personaggi che non si rendono conto che, nel momento in cui pensano di essere “a cavallo”, in alto, la loro parabola in realtà è già in discesa. In breve, qual’è il messaggio?
“Tutto quello che hai, un giorno lo perderai”, come dice Bianconi in una sua bella canzone. »
3) Parlateci della vostra esperienza: come è stato “suonare questo strumento a quattro mani” ? Quali sono stati i momenti più importanti e quelli più difficili?
Chiara e Giuseppe: «Scrivere un’opera a quattro mani non è semplice. Immaginando che avrebbero potuto esserci inconvenienti se, per esempio, ciascuno di noi avesse scritto diversi capitoli, ci siamo ripartiti i ruoli: Giuseppe ha steso la trama e Chiara si è curata di scriverla. Ci sono stati momenti in cui ovviamente i nostri pareri divergevano su come affrontare determinati passaggi della trama, ma in definitiva, proprio per il fatto che ci siamo occupati di due aspetti diversi della composizione del romanzo, non abbiamo risentito di particolari problemi.»
Chiara: « … Non contando quando Giuseppe non era d’accordo su certi dialoghi e si metteva a declamarli a voce alta facendomi effettivamente rendere conto che quel determinato personaggio non avrebbe mai potuto dire o fare qualcosa, e mi faceva diventare rossa. Sono terribilmente gelosa di quello che scrivo, ma certo, un po’ di critica è indispensabile. Ecco, questo lavorare insieme ci ha molto aiutato: ci siamo criticati e apprezzati a vicenda, senza alcuna pietà. »
Giuseppe: «Senza contare che Chiara è terribilmente permalosa e riuscire a convincerla a volte diventa un’impresa degna di un Ercole dei nostri tempi !»
4) Per Calvino “scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto.” Cosa vorreste che i lettori scoprissero con la lettura della vostra opera d’esordio?
Chiara e Giuseppe: «Non si tratta di svelare quanto piuttosto di sentire. Per scoprire bisogna operare un lavoro razionale di induzione e deduzione mentre sentire è ben altra cosa. Riuscire a sintonizzarsi con i nostri personaggi, con le loro angosce e i loro sogni, con l’ambientazione che abbiamo costruito e che ci siamo divertiti a scuotere è per noi Sentire. Si “sente” con lo stomaco, con un piccolo brivido lungo la spina dorsale, con sospiro di sollievo o d’angoscia. E noi vorremmo che sentissero la nostra storia nel complesso, come l’intreccio di una serie di vite che vanno verso un’unica direzione senza esserne completamente consapevoli. Credo che non si possa lasciare un messaggio estrapolandolo dal contesto, il messaggio è la storia in sé.»
5) Genere letterario Urban-Horror vi siete fatti ispirare da qualche autore in particolare?
Chiara e Giuseppe: «Senz’altro in “A tale from Norwich” hanno influito le letture di stampo gotico che tanto abbiamo amato. Nel nostro romanzo è possibile ritrovare rimandi a Frankenstein, il capolavoro di Mary Shelley, o al Vampiro di Polidori e, perchè no, anche un piccolo tributo ai mille mondi immaginati da Wells, uno dei capisaldi del Retrofuture.
Ma non c’è solo ispirazione letteraria! Nella nostra ambientazione, nella nostra Londra, abbiamo anche espresso la nostra personale devozione a un grandissimo genio e inventore, Nikola Tesla, o ancora ai processi alchemici di uomini misteriosi come Paracelso e Nicholas Flamel.»
6) Possiamo identificarci con i protagonisti del vostro romanzo?
Giuseppe: «Identificarsi è sicuramente possibile. I nostri personaggi sono persone che vivono situazioni straordinarie in un mondo, negativamente, straordinario. Ma i loro impulsi, le loro passioni e i loro obiettivi sono terribilmente umani tanto che forse, alla fine, certe persone potranno persino giustificare più che condannare i loro peggiori atti.»
Chiara: « Una delle nostre prime preoccupazioni ha riguardato proprio questo. Il romanzo si basa su una distopia, quella di una Londra del futuro – il 2103 – in cui sono avvenuti fatti fuori dall’ordinario: nel 1908 è scoppiata la Piaga, che tramuta i morti in esseri assetati di carne umana. In questo ambito “straordinario”, abbiamo voluto conservare l’umanità dei personaggi. In particolare, abbiamo cercato di rendere al meglio l’ossessione monomaniaca di Victor, il timore e il disgusto di Juliet che, da una cornice disastrata ma “ordinaria”, si trova invischiata in eventi sovrannaturali più grandi di lei; e poi ancora la bestialità di Dem, che si trova a combattere per la propria vita: è proprio questo accanirsi per rimanere in vita, questo suo fuggire, disposto a vendere chiunque per ottenere la salvezza, che ne fa un personaggio animalesco ma, insieme, così umano.»
7) Pregi e virtù dei personaggi non archetipi umani che compiono questo viaggio introspettivo tra le righe del vostro e book?
Giuseppe: « Credo che gli idealtipi siano, in letteratura, una pericolosa omologazione e gran parte del mio lavoro e di quello di Chiara è stato cercare di rendere i nostri personaggi non banali, non già visti. In particolare non credo che esistano veri e propri “pregi” o “difetti” ma solo tratti caratteriali che in alcune circostanze aiuteranno i protagonisti e in altre li ostacoleranno. L’ostinazione di Victor sarà spessissimo per lui un ostacolo ma senza quella probabilmente non sarebbe riuscito ad arrivare dove si trova all’inizio del romanzo né ad andare avanti. La bestialità di Dem lo porta ad essere al di là di ogni redenzione ma gli permette di sopravvivere dove altre persone, più umane, avrebbero potuto solo arrendersi. Anche tratti considerati generalmente “pregi” come l’empatia di Juliet la porteranno spesso a trarre giovamento dalla sua natura amichevole e sociale ma anche a mettersi in guai che altri personaggi avrebbero schivato agilmente. In breve niente pregi, niente virtù, niente difetti. Solo tratti caratteriali. Uno su tutti: Ostinazione. Sono tutti dannatamente ostinati. »
Chiara: « Secondo me vivono una sorta di scardinamento di quelli che comunemente vengono detti “pregi” , “virtù” e “difetti”: sono persone e, come per ogni essere umano, un difetto può loro tornare utile all’obiettivo che si sono prefissati di raggiungere, un pregio li può fermare. Perchè? Perchè è la morale spesso che impedisce di uscire dall’inquadratura e ti condanna per non essere scappato o non aver agito. Viceversa, un codardo che ha l’obiettivo di sopravvivere cercherà di scansarsi e sviare il pericolo: alla fine non sta facendo niente di sbagliato per sé stesso: lui vuole solo sopravvivere!
E’ così per i nostri personaggi. Sono prima di tutto umani. Quindi egoisti. Vogliono ciò che desiderano: e tutti desideriamo qualcosa.
Non è umano , questo?»
8)Londra: perchè?
Chiara: «Ho visitato Londra la prima volta sei anni fa. Fu un’esperienza fantastica. Il tempo così cangiante, un secondo prima il sole, un istante dopo l’ombrello, e quella nebbia che ti pervadeva, sembrava di vivere in un sogno. E tutte le leggende della metropolitana, i suoi fantasmi? I corvi alla torre di Londra? I rintocchi del Big Ben? Gli inglesi così implacabili? Ne sono sicura, Londra è in assoluto la città perfetta per ambientare un racconto che parla di mistero e sogni infranti.»
Giuseppe: «Una città che affonda le sue origini in una brughiera nebbiosa, che ha visto momenti terribili e bui e attimi di grandioso splendore e che spesso li ha vissuti contemporaneamente. Credo che sia la città perfetta per ambientare qualsiasi storia in cui il mistero e l’ostinazione facciano da padrone, mischiate ad una buona dose di ossessione e a creature che si muovono nella nebbia.»
9) Progetti per il futuro e sogni non per forza letterari nel cassetto?
Giuseppe: «Abbiamo un altro romanzo, scritto prima di A Tale From Norwich che è ancora rimasto orfano di editore e penso che il nostro progetto per il prossimo anno sarà quello di riuscire a trovargliene uno. Al di là della letteratura ? Scrivere un gioco di ruolo, andare a Londra, lanciarmi con un paracadute, laurearmi in storia e filosofia. Tutto con Chiara accanto, se no che piacere c’è ?»
Chiara: « Idem. Londra devi vederla senz’altro. Poi vorrei scrivere, ultimamente ho davvero voglia di battere parole sui tasti del computer. Poi vediamo, vorrei laurearmi il prima possibile e leggere tutti i libri sulla mia scrivania: ne ho accumulati talmente tanti nel periodo di stesura di A Tale from Norwich che potrei costruirci un bunker.»
Alessia Aleo
http://www.prosperoeditore.com/i-nostri-libri/london-calling-tale-from-norwich-detail.html







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