Ancora una volta il cyber bullismo fa una vittima. Si tratta di Rehtaeh Parsons, 17enne canadese che si è tolta la vita impiccandosi nel bagno della sua abitazione in Nova Scozia. La ragazza è giunta al gesto estremo dopo che, pochi giorni fa, su Facebook è stata pubblicata una foto dello stupro di gruppo di cui era stata vittima nel 2011. La rete “malata” non conosce clemenza, infatti, la ragazza era stata soprannominata con il termine “slut” (“puttana”). Allarmante è anche l’esito che ha avuto la vicenda giudiziaria: i quattro ragazzi che hanno commesso la violenza non hanno subito alcuna pena, dal momento che il caso di violenza era stato archiviato per assenza di prove.
Internet, però, reagisce. Infatti, online è partita una petizione per costringere la polizia americana a riaprire il caso, portando avanti l’accusa di pedopornografia (lo scatto risale a quando Rehtaeh aveva 15 anni). La ragazza, per dimenticare, aveva persino cambiato città. Ma non è bastato a farle superare la vergogna subita pubblicamente e i pregiudizi della gente.
Anche il collettivo di hacker Anonymous si è interessato al caso: già lo scorso anno era riuscito a rendere pubblica l’identità di un cyber-bullo che aveva spinto una teenager al suicidio. E l’obiettivo è di riuscire a fare altrettanto con i 4 ragazzi accusati d’aver stuprato in branco un adolescente e di averla indotta a togliersi la vita. Anonymous sostiene di avere già identificato due dei presunti aggressori e di star confermando quella del terzo. Presto, dichiara, giungerà anche a scoprire l’identità del quarto ragazzo.
Aurora Circià







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