E’ il 4 giugno del 1984 quando esce l’album che ha fatto di Bruce Spingsteen un’icona del rock mondiale e che gli ha permesso di raggiungere vastissime platee di pubblico. “Born in the U.S.A.” è il disco del successo planetario: idolatrato e discusso allo stesso tempo. Croce e delizia dei fan storici del Boss, rappresenta una linea di demarcazione tra chi ha iniziato ad ascoltare Springsteen con “Born in The U.S.A.” e chi lo ascoltava già da prima (quando non aveva ancora raggiunto una tale fama). Tuttavia è innegabile il fatto che l’album contiene alcune delle sue canzoni più amate.
Siamo nel pieno degli anni ’80, Springsteen ha da poco sfornato l’opus magnum “The River” (1980) ed il riflessivo “Nebraska” (1982); ora il suo livello creativo (che è sempre stato alto) è al massimo e lo dimostra l’elevato numero di brani che Bruce registra in questo periodo. Lo stile dell’album appare spensierato, positivo, sfarzoso anche se risulta spesso in contrasto con la riflessività dei testi di molti brani come la title-track, “Glory Days”, “My Hometown” e altri.
L’omonimo “Born in the U.S.A”, che rimane uno dei brani più celebri della storia della musica rock e anche quello che certamente più rappresenta Spingsteen, non ha bisogno di molte parole: o si ama o si odia. “Dancing In The Dark” è il primo singolo lanciato e si pensi che non sarebbe dovuta apparire nell’album, ma anche se composta ed inserita all’ultimo momento ha fornito l’apporto decisivo per la consacrazione finale dell’album. Indimenticabili inoltre l’ottima quanto breve “I’m on fire”, “Darlington County” e “Working On The Highway” con la loro ritmica incalzante, “Bobby Jean” dedicata al “fratello” Little Steven, che nel frattempo ha abbandonato la E Street Band, “Cover me” con il suo amore come salvezza, il lirismo di “My hometown”, la nostalgia di “Glory Days” insieme alla disillusione di “Downbound train” (una sorta di sequel di “The river”), la rabbia e la speranza di “No surrender” con quella frase che è di fatto il suo manifesto: “We learned more from a three-minutes record than we evere learned in school”.
“Born in the U.S.A.” arriva a vendere 15 milioni di copie solo in America, dove produrrà ben 7 singoli da top 10 (un record ancora oggi, condiviso con Michael Jackson e sua sorella Janet) in “battaglia” con “Purple rain” di Prince per settimane, per la testa delle classifiche di mezzo mondo.
Eleonora Mirabile







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