In Cina i panda diventano moneta di scambio


Panda Cina

 

 

 

Possono i panda cinesi essere l’ago della bilancia della diplomazia e dell’economia internazionale? Pare proprio di sì. Sono i panda a far girare l’economia. E possono essere considerati in tutto e per tutto una nuova valuta cinese.

Sembra roba da fantaeconomia e invece è così. Pechino, grazie a una cinquantina di esemplari dati in prestito a Paesi di mezzo mondo, può vantare remunerativi accordi commerciali e investimenti. Un esempio? Nel 2011 la Cina ha stipulato accordi per miliardi di dollari con la Scozia per la fornitura di salmone, prodotti petrolchimici e tecnologie per energie rinnovabili, proprio per aver dato in cambio allo zoo di Edimburgo una coppia di panda.

Ma non solo. Anche l’uranio ha un suo prezzo in panda: Canada e Francia hanno firmato offerte multimiliardarie per l’esportazione del metallo che comprendevano, come controparte, anche la consegna di alcuni esemplari bianconeri. Pure l’Australia, Paese nel quale si trovano alcune delle più grandi riserve mondiali di uranio, ha ricevuto una coppia di panda nel 2009, come pattuito in un accordo del 2006 per la fornitura di uranio alla Cina. Si aggiungono all’elenco anche Singapore e Thailandia per via degli accordi di libero scambio. E presto lo farà anche la Malesia, avendo da poco firmato un accordo commerciale.

L’uso del panda come moneta di scambio, stando a quanto riportato da “Newsweek”, è iniziato negli anni Ottanta. Si stima che una coppia di animali arrivi a costare centomila dollari al mese. Inutili fino ad oggi le proteste degli ambientalisti e degli animalisti. I panda sono troppo preziosi per la Cina. Secondo la “Cnn”, quando nel 2010 il presidente americano Barack Obama ha incontrato il Dalai Lama, tra le prime ritorsioni di Pechino c’è stato il rimpatrio di tutti panda presenti sul territorio statunitense.

 

Aurora Circià

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