La molteplicità di soggetti, stili e sfumature crea la ricchezza della mostra: nonostante il tema unico, variegatamente soggettive sono state le proposte degli artisti attorno al significato di spazio creativo e territorio da salvaguardare. Nutrire la cultura e la bellezza per far rinascere la città, come affermato dall’Assessore del Comune di Paternò Giuseppe Di Benedetto, è alla base della manifestazione dove la protagonista indiscussa è la creatività.

Uno degli scopi fondanti della fotografia, sin dalle sue origini, è quello di persistere allo scorrere inesorabile del tempo, immortalando e fissando un momento altrimenti inafferabile: fotografare per non dimenticare e per non smettere di guardare, come dice Daniel Pennac nel suo primo romanzo “Il Paradiso degli orchi”. Occasionalmente l’arte lascia spazio alle parole degli artisti partecipanti per cogliere, attraverso i microfoni di Acicastello Informa, gli intenti comunicativi che si celano dietro i pixel di ogni fotogramma riprodotto e realizzato.
“La fotografia vuole significare quello che noi dobbiamo cercare nel mondo. Nello specchio c’è un riflesso (la vista è di Paternò), invece il soggetto porta una maschera antigas; la maschera ci ricorda che dobbiamo allontanarci dall’inquinamento della civiltà odierna e cercare di salvaguardare questo territorio”, l’immagine metaforica di Clara Anicito è lampante e allo stesso tempo sottile, ricordando l’importanza del legame con la nostra terra nel senso più concreto del termine. Tra le prerogative di “Spazio Creativo & Territorio da Salvaguardare” essenziale risulta l’utilizzo di video e foto come strumenti di sensibilizzazione per la tutela del proprio “spazio”: “L’ho rappresentato nel modo più classico possibile: spazio creativo inteso come spazio urbano. Il mio frame fotografico è completamente saturo per rappresentare che lo spazio disponibile è terminato. La foto rappresenta questo: vale la pena salvaguardare il territorio perché è uno spazio finito che prima o poi non si potrà più sfruttare”, Salvatore Gulino; “Per spazio creativo ho inteso anche lo spazio in cui viviamo tutti i giorni e la salvaguardia di questo spazio è simboleggiato da un’impalcatura, che vediamo nello sfondo, mentre sopra di essa, a difesa del nostro spazio, vi sono dei moduli in movimento di varia forma che rappresentano i singoli stati della nostra vita, quindi stati momentanei che si sovrappongono e si susseguono nell’arco temporale. L’opera si chiama ‘Timeline’per cui ho immaginato una successione di stati su una barra che è quella del tempo e anche quella della spazio”, Daniele Brancato.
Così come in un testo poetico risulta essenziale ai fini della comprensione il commento dell’autore, allo stesso modo è necessario l’input da parte dell’artista per cogliere la chiave di lettura volta a svelare i significati più reconditi dell’opera fotografica, che al primo sguardo potrebbero non risalire, Janila Mezzatesta racconta: “Il modo in cui ho interpretato il tema della mostra è stato come spazio intimo e personale ma anche come spazio creatore , per questo ho una posizione fetale nella foto. Ho cercato di fare una sintesi anche del concetto stesso di spazio mettendo il perimetro di un telaio che sancisce anche il limite dell’opera, dello spazio stesso e forse in un certo senso il limite della creatività. E’ un interrogativo quello che cerco di lasciare, dato anche dal bianco predominante che cerca di non dare troppe risposte e dalla mia nudità che è emblematica in quanto cerco di mettere a nudo me stessa, ma sempre all’interno di quel perimetro, che è poi lo spazio creativo di quel territorio da salvaguardare che secondo me è principalmente l’anima”.
Squarci di folclore e sicilianità insieme a forti legami per le proprie radici territoriali emergono nella scelta fotografica di Luca Condorelli, elementi resi tuttavia universali dal suo personale sguardo nella rappresentazione ideale di uno spazio creativo: “Questa foto è stata scattata durante la festa di Sant’Agata dal balcone di casa di mio Nonno dove per 22 anni sono andato a vedere la Santa e rappresenta il caos della festa bloccato da questo cittadino che sta li in mezzo alla folla a guardare non si sa cosa (forse la Santa?). Ognuno può trarre le proprie conclusioni, attualizzandolo alla crisi dei nostri giorni, in questo caos dove forse dovremmo guardare indietro per trovare la calma che cerchiamo”.
“Io ho scelto di interpretare l’idea dello spazio creativo e del territorio da salvaguardare dal punto di vista umano, lo ‘spazio’ interiore che tutti abbiamo dentro. Generalmente le mie linee di lavoro hanno a che fare con l’impossibilità di comunicare realmente quello che abbiamo dentro, la difficoltà di comunicare e di interagire con l’altra persona, la paura di relazionarsi con l’altro e di far venire fuori quello che siamo. Mi piace anche lavorare con l’ambiente e sulle prospettive. In questo caso ho giocato con il linguaggio metaforico, l’uso del testo, e il creare una base d’osservazione (il cielo), attraverso una prospettiva ribaltata. Per quanto riguarda l’uso delle parole: parole molto simili in inglese come ‘chance’ e ‘change’, cioè il cambiamento che porta la possibilità e la possibilità che porta il cambiamento, quindi l’idea di utilizzare lo spazio creativo come qualcosa che possa portare il cambiamento e la possibilità di progredire e di evolversi”, così spiega Carla Cuomo ribaltando le classiche prospettive standardizzate del modo di concepire un’immagine visiva, amalgamando due sfere conoscitive apparentemente estranee. Ecco che vengono superate barriere intangibili: l’arte è vita in quanto è la vita stessa a rappresentarne l’assoluto soggetto. Assioma veritiero soprattutto per la fotografia poiché quello che viene catturato dall’obiettivo altro non è che un frammento di realtà: “Questo è uno spazio che esiste davvero, io ho soltanto atteso la luce della luna e che le fontane fossero al massimo dell’altezza dello spruzzo dell’acqua perché volevo dare l’idea del movimento, lo spazio creativo è sempre in movimento. L’opera simboleggia il mio spazio creativo, come lo immagino, dove mi vorrei trovare per creare una fotografia. Notturna perché la notte è ispiratrice per chi ricerca qualcosa in profondità, ed è questo quello che voglio portare con la mia fotografia il cui titolo è ‘Simbo_E_lus’ ”, Giusanna Di Stefano.
Frammenti di realtà ma anche attimi fugaci colti dall’occhio di un attento osservatore, quale è un buon fotografo. Filippo Papa racconta il senso di rappresentazione della sua opera: “ne ‘L’immenso’, vediamo quest’uomo, il quale rappresenta l’umanità stessa, aprirsi a questo spazio creativo che è l’incontro con il divino e quindi con l’interiorità stessa dell’uomo”; riprodurre l’interiorità attraverso il senso estetico per eccellenza, mostrare l’ineffabile attraverso rivelazioni di quotidiana epifania nel creato, a cosa serve una grande profondità di campo – come dice il grande Eugene Smith – se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?
Eleonora Mirabile






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