La Cina si prepara alla fine della politica del figlio unico e dei campi di rieducazione


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Sembra che la Cina si stia preparando a grandi cambiamenti. O almeno questo è quanto sembrerebbe di percepire dal contenuto del comunicato rilasciato alla fine del Terzo Plenum del Comitato centrale comunista cinese, svoltosi a Pechino dal 9 al 12 novembre, il primo sotto la nuova direzione del presidente Xi Jinping. Voci alquanto ottimiste lo hanno già soprannominato “il manifesto sociale” di Jinping. Si tratta di un piano decennale di riforme economiche e sociali, tra le quali spiccano la decisione di allentare la “politica del figlio unico” e di abolire i “campi di rieducazione attraverso il lavoro”.

Il testo del comunicato riporta a grandi linee le scelte politiche del partito, rimanendo vago sui particolari. L’unica decisione concreta è l’istituzione di due nuovi enti, uno per attuare le riforme, l’altro per garantire la sicurezza del paese.

Il South China Morning Post ha giudicato il tono del comunicato “coraggioso in termini di riforme economiche e conservatore sul fronte politico-istituzionale”. Non sono previste, infatti, riforme democratiche in senso occidentale, mentre l’annuncio di una maggiore indipendenza del sistema giudiziario e il rafforzamento delle misure contro la corruzione sembra voler legittimare la permanenza al potere del Partito comunista.

La legge del “figlio unico” dalla fine degli anni Settanta ha causato una strage di bambini mai nati: dal 1971 i medici cinesi hanno praticato 336 milioni di aborti e sterilizzato 196 milioni di uomini e donne. La riforma era stata applicata per controllare le nascite ed evitare l’esplosione della bomba demografica cui la Cina andava in contro. Attualmente è possibile avere un secondo figlio solo nel caso in cui entrambi i genitori siano figli unici. Il documento presentato alla fine del Plenum promette di permettere in futuro la possibilità di un secondogenito anche quando uno solo dei due genitori è figlio unico. Dalla norma sono già esclusi gli abitanti delle zone rurali e le minoranze etniche.

L’altra grande riforma riguarda l’abolizione del “laojiao”, la “rieducazione attraverso il lavoro” forzato, un sistema di campi di concentramento istituito negli anni Cinquanta da Mao Zedong per punire i contro-rivoluzionari. Il comunicato del Comitato centrale spiega che in questo modo si vuole fare “un grande sforzo per proteggere i diritti umani”. E si promette, inoltre, di ridurre, “passo dopo passo”, il numero di crimini (ad oggi 55) punibili con la pena di morte.

 

Aurora Circià

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