La Corte europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una coppia di coniugi milanesi, che si erano visti negare la possibilità di attribuire alla propria figlia il cognome della madre invece di quello del padre. La “stoica” sentenza, condannando l’Italia per avere violato il diritto di non discriminazione tra i coniugi in congiunzione con quello al rispetto della vita familiare e privata, stabilisce che i genitori devono avere il diritto di dare ai figli il solo cognome materno. Sostengono, inoltre, che “se la regola che stabilisce che ai figli legittimi sia attribuito il cognome del padre può rivelarsi necessaria nella pratica, l’inesistenza di una deroga a questa regola nel momento dell’iscrizione all’anagrafe è eccessivamente rigida e discriminatoria verso le donne”. Anche la possibilità, già introdotta nel 2000, di aggiungere al nome paterno quello materno non sarebbe sufficiente a garantire l’eguaglianza tra i coniugi e quindi il Governo Italiano dovrà essenzialmente cambiare la legge o le proprie pratiche interne per mettere fine alla violazione riscontrata. Sono necessarie, quindi, riforme legislative per rimediare alla violazione riscontrata.
L’argomento non è sicuramente nuovo: già in passato la Cassazione era intervenuta sulla materia eliminando il divieto, per la madri, di aggiungere il proprio cognome a quello dei figli. Nel 2008 la Corte Suprema si era espressa a favore dell’attribuzione del cognome materno ai figli legittimi nel caso in cui i genitori fossero d’accordo. Con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, andiamo molto oltre: siamo di fronte al riconoscimento di un nuovo DIRITTO, il diritto di scelta del cognome.
La risposta del Governo alla sentenza europea, emessa appena il 7 Gennaio c.m., è stata tempestiva, anche se sicuramente inadeguata a far fronte a tutte le sfaccettature e problemi applicativi che la stessa pronuncia solleva e solleverà.
È stato lo stesso Letta a spiegare che il Governo è intervenuto «per sanare questa mancanza», ma essendo la materia delicata e complessa, l’esecutivo ha anche deciso di far approfondire tutti gli aspetti da un gruppo di lavoro interministeriale.
Il nuovo ddl, composto da appena 4 articoli, modifica l’articolo 143-bis del codice civile e prevede che il figlio “assume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre o quello di entrambi i genitori”. Stessa regola per i figli nati fuori dal matrimonio o adottati. In pratica, secondo il nuovo testo, il neonato prenderà “in automatico” il cognome paterno, salvo che i genitori non si mettano d’accordo per dargli quello della madre o di entrambi.
A spiegare le implicazioni del cambiamento prospettato è il viceministro Maria Cecilia Guerra, che ha la delega alle Pari opportunità, dicastero che insieme a Esteri, Interni e Giustizia andrà a formare il gruppo di lavoro annunciato da Letta. La Guerra, soffermandosi sulle questioni che la nuova normativa potrebbe sollevare, ha spiegato che dalla nuova legge potrebbero derivare problemi di coordinamento, si pensi alla possibilità (non molto lontana) che fratelli e sorelle abbiano cognomi diversi. Un altro problema, messo in luce dal viceministro, è la ridondanza della scelta sui successivi discendenti, con l’accavallarsi di cognomi doppi, tripli, quadrupli, oltre alla legittimità/costituzionalità della “potestà” data al padre, poiché senza il suo assenso la madre non potrà dare il proprio cognome al figlio.
Non rimane, dunque, che attendere i risultati del lavoro del gruppo scelto dal Governo, sperando di uscire con una normativa adeguata da una “consuetudine arcaica” che dura ormai da troppo.
Angela Scalisi







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