Per anni il mito di Lance Armstrong è stato lodato e ammirato da amanti dello sport e non. Per anni la storia del 7 volte campione del Tour de France e della sua battaglia vinta contro un cancro ai testicoli è stata simbolo di rivalsa, tenacia, talento e successo.
La favola del ciclista eroe, Cancer Jesus (così era stato soprannominato), ha perso la sua magia e i suoi contorni idilliaci quando è venuto fuori che i successi mietuti dal campione erano solo frutto di un ricorso feroce al doping. E il finale non è stato certo un “happy ending”: la squalifica a vita, i titoli ritirati e la confessione in Tv durante un’intervista con Oprah Winfrey.
Ma la storia di Lance Armstrong è molto più oscura e torbida di quanto si fosse immaginato. O almeno questo è quello che viene fuori dalle ricerche della giornalista investigativa del New York Times Juliet Macur. La reporter dipinge il ritratto di un uomo perfido, egoista e senza scrupoli, e smonta una dopo l’altra tutte le bugie sulle quali si basava il mito di Armstrong. Un uomo cinico, capace di tradire anche gli amici di vecchia data. Come fece con il suo massaggiatore, J.T. Neal. Entrambi si erano ammalati di cancro nel 1996. La sorte dei due fu però molto diversa: il ciclista guarì, Neal no. Quest’ultimo chiese al campione di restargli a fianco per affrontare un trapianto. Ma Lance gli voltò le spalle dicendo: “Non posso, devo seguire i Wallflowers (una rock band americana, ndr.) in tour”. Neal morì nel 2002.
La sete di vittoria di Armstrong non conosceva limiti. Nelle sue squadre pretendeva che anche i gregari rendessero al massimo, obbligandoli ad assumere Epo e altre sostanze illecite. Se si rifiutavano di diventare complici, la pena era l’espulsione dal gruppo.
Il mito di Armstrong passava anche dalla storia, tessuta ad arte, della sua infanzia di povero bambino texano cresciuto da una ragazza madre. Peccato che in realtà il padre adottivo, Terry Armstrong, lo abbia allevato e sostenuto fino all’adolescenza, pagandogli studi e attrezzature. Per essere poi ripudiato da Lance. Anche la madre, del resto, non ha ricevuto un trattamento migliore. Dal 1998 i rapporti con Linda sono ridotti al minimo. Mentre il ciclista viveva in una vera e propria reggia, lei stentava in un bilocale. In occasione della prima vittoria al Tour, poi, la madre lo raggiunse a Parigi, dove lui non la degnò di considerazione.
E che Armstrong non fosse particolarmente interessato alle vittorie pulite, era chiaro sin dall’inizio. A soli 22 anni accettò la sfida di uno sponsor di correre 3 corse su strada negli Stati Uniti: se le avesse vinte tutte, avrebbe incassato un milione di dollari. Il successo naturalmente arrivo, ma fu frutto di una combine con gli avversari.
Le altre numerose vittorie, come ormai ben si sa, sono state possibili grazie al doping e alla capacità di Lance di eludere i controlli. I metodi studiati dal ciclista erano diversi: bere litri d’acqua, versare le urine su uno strato di gel che ne alterava i valori, sostituirle con altre pulite attraverso un catetere nascosto, e pagare informatori per sapere quando doversi far trovare pronto e “pulito” per i test.
Metodi coatti ed intimidatori di cui fecero le spese anche gli avversari di Armstrong. Come il francese Christophe Bassons, che in occasione del Tour del 1999 aveva criticato duramente l’uso del doping. Lance costrinse tutti a isolarlo, anche i suoi compagni, così che, trovatosi senza squadra a metà gara, Bassons si ritirò dalla competizione. Per poi lasciare anche il ciclismo.
Aurora Circià








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