Quando essere cristiani è considerato un crimine da punire con la morte. Si può riassumere così la vicenda che vede coinvolta Meriam Yehya Ibrahim, una 26enne sudanese costretta in carcere dalla scorso febbraio per l’accusa di un parente. La ragazza, incinta all’ottavo mese e già madre di un altro figlio di 20 mesi, è rea di aver sposato un uomo cristiano. Una colpa che secondo il tribunale sudanese deve scontare con la morte per impiccagione. Meriam è infatti ritenuta essere un’apostata, vale a dire ha rinnegato la propria fede musulmana.
La notizia della condanna ha dato vita a una mobilitazione internazionale per fermarla, promossa dalle organizzazioni Amnesty International e Human rights watch, alle quali hanno fatto eco le rappresentanze a Khartum di Usa, Gran Bretagna, Canada e Olanda. Anche l’Italia appoggia la campagna di liberazione di Meriam, supportata dall’hastag lanciato da Avvenire #meriamdevevivere, presto rilanciato anche dal premier Matteo Renzi.
I giudici sudanesi hanno spiegato che la donna verrà giustiziata due anni dopo aver partorito. L’avvocato di Meriam, Al-Shareef Ale al-Shareef Mohammed, ha annunciato che presenterà ricorso contro la sentenza, definendo il verdetto affrettato e debole dal punto di vista giuridico. Il giudice, infatti, ha rifiutato di ascoltare i testimoni della difesa e ha ignorato i principi di libertà di religione e uguaglianza tra i cittadini previsti dalla Costituzione del Paese.
La 26enne è stata condannata perché, pur essendo nata musulmana, ha sposato un uomo cristiano. Da qui l’accusa di apostasia. In precedenza era anche stata accusata di adulterio, e condannata a ricevere 100 frustate, poiché il suo matrimonio col marito non era stato riconosciuto valido.
Per il legale della ragazza “il giudice ha oltrepassato il proprio mandato quando ha deciso che il matrimonio di Meriam non è valido perché suo marito non appartiene alla sua religione”, aggiungendo che “pensava più alla legge islamica sharia che non alle leggi e alla Costituzione del Paese”. Una scelta che, se di certo va contro il diritto internazionale, si sposa invece perfettamente con le disposizioni del presidente sudanese Omar Bashir. Al potere dal gole del 1989, Bashir aveva annunciato che il suo Paese avrebbe applicato la legge islamica più rigidamente dopo la secessione del Sud non musulmano a luglio del 2011.
Aurora Circià







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