Il mondo scolastico è un peregrinare di vane speranze sia per studenti che per i professori.
L’immissione per il famigerato posto di ruolo nel corso degli anni è stato oggetto dei più frustranti cambiamenti, figli delle varie riforme governative precedenti. Oggi ci ritroviamo a visionare le nuove ipotetiche linee guide promosse dal Ministro Giannini e dal premier Renzi, direttive che non sono, ovviamente, esenti da critiche.
In una società dove il proliferare del precariato è uno dei mali assoluti questa riforma propone l’assunzione di 148 mila professori appartenenti alle graduatorie ad esaurimento nel corso del prossimo biennio e l’assunzione dell’impegno da parte del governo bandiera nella primavera dell’anno prossimo un concorso per 40 mila posti per coprire il triennio che spazierà dal 2016 al 2019.
Questo è forse uno dei punti più ostici: nel prossimo concorso sarà diminuita la percentuale di giudizio legata ai titoli, sarà rivisto l’elenco dei titoli di ammissione e sarà dato più speso alla valutazione delle capacità pratiche di svolgere una lezione frontale. Opinabile in realtà il criterio di “partecipazione”; potranno provare a svolgere l’esame solo i SFPVO (i laureati in scienze della formazione primaria che hanno conseguito la laurea dopo il 2011 del vecchio ordinamento), diplomati magistrali con valore abilitante, congelati SISS, i PAS (coloro che hanno l’anzianità di servizio di almeno tre anni tramite i Percorsi Abilitanti Speciali), TFA primo e secondo ciclo e dei non abilitati solo i laureati pre anno accademico 2001/2002.
Selezione che sfoltirà l’uso e l’abuso delle tripartitiche graduatorie.
Verranno abolite le graduatorie d’istituto che secondo la proposta “costoro non possono essere considerati precari, se non vogliamo correre il rischio paradossale per cui chiunque abbia mai svolto anche solo una settimana o un giorno di supplenza è un precario della scuola”.
In teoria sembra tutto filare liscio, ma in pratica non si è forse preso in considerazione che con un sistema blindato le possibilità che passino agli esami esclusivamente “i soliti noti” (un gioco da ragazzi!) e i meritevoli, reali, rimangano indietro giudicati da un sistema anglofilo a quiz dove la reale preparazione non può essere testata in toto. Infatti non sono stati pochi i casi durante le prove preselettive dell’ultimo TFA che hanno visto ingiustizie, telefonini non sequestrati e domande dove i quesiti con l’elemento distraente non era più valutato come risposta non idonea.
E i ragazzi laureati dopo il 2002 che fine faranno? Dovranno attendere altri cinque o forse dieci anni prima di vedere all’orizzonte il profilarsi di un nuovo concorso, alla quale però non verranno ammessi, poiché l’Università che dovrebbe prepararli ad affrontare il sistema non ha offerto loro gli strumenti idonei e si è assunta il ruolo di diplomificio facile. In questa maniera non si sminuisce forse il sistema accademico, le lauree e i laureati? Ma questo è semplicemente un parere personale, di una dottoressa in Scienze Filosofiche che probabilmente non insegnerà mai.
Se “La buona Scuola” che vuole far crescere il Pese riuscirà da un lato ad offrire sorrisi a tutti i professori che da dieci, da vent’anni si trovano nel limbo del precariato, dall’altro farà piangere, probabilmente, chi ancora si apprestava ad affacciarsi sulla finestra del mondo dell’insegnamento per la prima volta.
Alessia Aleo








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