Il conflitto israelo- palestinese continua a imperversare nella Striscia di Gaza e gli orrori della guerra sono giornalmente verità cruda e sorda per gli abitanti di questi luoghi, prigionieri a cielo aperto, che rimangono confinati in quella che una volta era la loro terra ma che appare ora come terra di fantasmi. Famiglie sventrate hanno oltrepassato la soglia del dolore e riuscire a convivere con la realtà ed il susseguirsi degli eventi è certamente atto di ‘fede’ molto arduo.
L’arte, però, riesce ancora a trovare spazio, anche in territori squarciati dai bombardamenti, ed ad imporsi con forza come simbolo di commemorazione delle vittime ed allo stesso tempo come simbolo di speranza e di coraggio.
Dopo il messaggio d’impatto dato dal ‘giardino di lacrimogeni’, realizzato nell’inaridito deserto del villaggio palestinese di Bil’in, vicino alla città di Ramallah, nel maggio di quest’anno; altro grido di sofferenza che richiama il mondo intero ad aprire gli occhi su questa ferita tutt’ora aperta e pulsante trova concretezza nell’istallazione dell’artista palestinese Iyad Sabbah. Se con i fiori piantati all’interno dei candelotti lacrimogeni, che vennero lanciati dai soldati contro i manifestanti, si vuole emblematizzare la rivalsa della vita sulla morte; le sculture in creta di Sabbah sono piuttosto un richiamo a svegliarsi dall’indifferenza e non far cadere nell’oblio la memoria degli innumerevoli martiri di guerra.
Queste statue, poste di fronte le macerie del distretto di Shuja’iyya, figurano una famiglia in fuga: degli anziani che avanzano con passo incerto verso la spiaggia, un uomo con un bimbo in braccio, una donna mano nella mano con un bambino. Realizzati in vetroresina, tutti appaiono inespressivi, come mummificati, e degradati dalla desolazione, sofferenza e presagio di morte che li circonda. Impossibile restare impassibili.
Valeria Rita Torrisi











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