Una coppia di Brescia perde la prima causa approdata in Cassazione e tesa al riconoscimento del figlio nato in Ucraina da una madre surrogata che si era resa disponibile a soddisfare il desiderio di genitorialità di marito e moglie, entrambi sterili, che dopo aver visto per ben tre volte respinte le loro richieste di adozione in Italia, avevano deciso di trovare rifugio in normative più aperte (anche la legge Ucraina prevede comunque che almeno il 50% del patrimonio genetico appartenga alla coppia “committente” e che gli ovociti non siano della gestante).
Ad avviso della Corte, l’Italia non riconosce la pratica della “fecondazione extracorporea”, negando così la possibilità che i figli nati all’estero con la pratica dell’utero in affitto, possano essere riconosciuti legittimamente in Italia.
Morale della favola: i genitori hanno perso la loro unica speranza in quanto il bambino è stato dato in adozione .
Con una nota la Corte ha sottolineato che “ nel confermare lo stato di adottabilità del bambino già assunto nei precedenti gradi di giudizio, sulla base del fatto che il minore non era figlio biologico dei ‘presunti genitori’ che all’ingresso in Italia lo avevano dichiarato come tale, bensì figlio di una madre Ucraina in esito a gestazione surrogata senza alcun apporto biologico da parte della ‘coppia committente’”, non ha fatto altro che confermare il contrasto con l’ordine pubblico italiano dell’istituto della surrogazione di maternità vietato dalla legge sulla procreazione assistita
La Corte, in relazione ad una possibile pretesa ‘adozione’ giustificata dall’interesse del minore, ha affermato che per il legislatore italiano “tale interesse si realizza proprio attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando all’istituto dell’azione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che a semplice accordo delle parti, a realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico. E si tratta di una valutazione operata a monte dalla legge, la quale attribuisce al giudice, su tale punto, alcuna discrezionalità da esercitare in relazione al caso concreto”.
La maternità surrogata è vietata dalla legge e il giudice non ha margine di discrezionalità, in quanto la scelta in materia spetta al legislatore. Spetta, dunque, solo al legislatore una scelta in materia, senza possibilità di interferenze da parte della giurisdizione. L’ordinamento italiano, infatti, contiene un espresso divieto alla surrogazione di maternità. Divieto che – si legge nella sentenza – non è venuto meno nonostante la “declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell’analogo divieto di fecondazione eterologa, pronunciato dalla Consulta con la recente sentenza 162 del 2014″.
Parere diverso aveva, invece, espresso la Procura generale della Cassazione, la quale aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la restituzione del bambino ai due Bresciani.
Angela Scalisi







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