
Dimenarsi sul proscenio lavorativo, oggigiorno, è quanto di più faticoso ci possa essere. Continue battaglie, agonismo di settore e il rischio sempre più incombente di lavorare più per lo Stato che per sé.
Nel mirino, pronti per essere colpiti alla fine di questo austero 2014, gli avvocati.
Dalla fine del mese di novembre di quest’anno la Cassa Forense sta iscrivendo all’ente i circa 40 mila avvocati presenti negli albi che ancora mancavano all’appello. Agli interessati (e forse malcapitati) arriva una Pec o una raccomandata con ricevuta di ritorno, con il conteggio dei contributi minimi dovuti per gli anni 2014 e 2015 e le istruzioni per i versamenti, che saranno effettuati a rate nel corso del nuovo anno, ormai alle porte. Dal momento in cui è stata ricevuta la comunicazione di iscrizione alla Cassa decorre un termine pari a novanta giorni. Dopo questo tempo, qualora il primo versamento non venga effettuato, si procederà alla cancellazione dall’albo del professionista.
Dissensi e polemiche per i giureconsulti che non sono favorevoli a queste “tasse” e all’iscrizione obbligatoria alla Cassa Forense. Nasce così una campagna social che è riuscita ad abbracciare in poco tempo anche i non addetti ai lavori. «#Iononmicancello» è lo slogan che campeggia sulle pagine facebook e twitter, una protesta in cui il selfie è la dimostrazione più rumorosa del disapprovazione. Pacificamente gli avvocati manifestano contro la regola dei minimi obbligatori che, come detto, impone di pagare i contributi senza tener conto del reddito prodotto.
Infatti, la cifra minima richiesta è di circa 4mila euro l’anno, in tanti lamentano sia pari o di poco superiore al loro reddito. Poco cambia nulla se si guadagna più o meno durante l’anno, la cifra da versare è la stessa per tutti: per chi non paga, è prevista la cancellazione dall’albo.
La “Mobilitazione Generale Avvocati” (MAG) con i suoi 14 mila iscritti ha avanzato una proposta in cui si afferma la volontà di eliminare il fastidioso obbligo dei minimi e passare ad un sistema contributivo proporzionale, con annesse agevolazioni per chi si affaccia alla professione poco dopo la laurea.
Oggi viviamo ancora l’austerità che era stata indotta dal governo tecnico nel biennio 2011-2013. La riforma portata a termine dal governo Monti ha reso obbligatoria per tutti gli avvocati l’iscrizione alla Cassa forense: prima chi percepiva un reddito inferiore ai 10.300 euro, cioè circa 15mila euro di fatturato, non era costretto a iscriversi. «Si chiede equità, si chiede un sistema previdenziale che sia attento alle esigenze dei giovani avvocati e in generale degli avvocati portatori di redditi bassi e medio bassi – si legge in un post di MGA – perché la grave crisi della categoria, che non dipende solo dalla pessima congiuntura economica, colpisce soprattutto loro».
Il risultato, discriminatorio, è quello di favorire i “grandi” a discapito dei giovani e dei freelance.
“Realizzai che la vera funzione di un avvocato era di unire le parti lacerate a pezzi. La lezione mi si impresse così indelebilmente che dedicai gran parte del mio tempo, durante i vent’anni della mia pratica come avvocato, a portare avanti compromessi privati di centinaia di casi. Non persi nulla, così facendo, nemmeno del denaro, e certamente non la mia anima”. (Mahatma Gandhi)
Chi si occuperà invece di unire le parti lacerate di questi giovani lavoratori, speranzosi e specialisti di diritto italiano, dilaniati epicamente dallo stessa sistema di cui sono figli?
Alessia Aleo






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