“C’era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico…”
(Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe)

La vocazione relazionale è insita in ogni individuo… abbiamo tutti la necessità di avere qualcuno accanto con cui condividere le nostre emozioni, persino Robinson Crusoe, per non impazzire in quell’isola deserta, si creò un amico immaginario col quale parlare… e gli diede pure un nome!
La scuola, essendo l’agenzia di socializzazione per eccellenza, deve, prima di ogni didattica, curare il rapporto che il discente ha con l’altro.
L’insegnante quindi ricopre il ruolo di facilitatore dei rapporti sociali creando un clima di accompagnamento nella comunicazione che consente ai bambini e alle bambine di esprimere bisogni e desideri, di esercitare la comprensione e la disponibilità verso l’altro attraverso relazioni amichevoli.
La parola chiave in questo contesto è “prosocialità”.
Col termine prosocialità si intendono una serie di comportamenti finalizzati al benessere degli altri senza la ricerca di alcuna ricompensa.
Essere “prosociale” significa possedere una dimensione personale che si fonda su aspetti e caratteri quali la comunicazione, l’autocontrollo, l’empatia, la stima, l’assertività, il problem solving ecc.., che permettono alla persona di “vivere bene con sé e con gli altri”.
La prosocialità può essere quindi intesa come il livello più evoluto dello spirito di convivenza, come insieme di motivazioni, valori e significati fortemente interiorizzati.
Interessantissimo, a questo proposito, il pensiero di Michael Tomasello, uno dei massimi studiosi al mondo dello sviluppo infantile, riassunto nel libro “Altruisti nati”. Secondo l’autore i bambini avrebbero una naturale predisposizione alla condivisione e all’aiuto, senza neanche compiere grandi distinzioni in base alla simpatia, al feeling o alla conoscenza personale.

Vi rendete conto? Nasciamo altruisti, attenti all’altro, desiderosi di farlo stare bene con noi e col mondo…la nostra volontà, da bambini, è l’armonia dell’intero universo e in cambio non ci aspettiamo nulla. Diventiamo felici donando felicità! Poi, ahimè, interviene l’adulto per “massacrare” questo idillio! Pare che, col tempo, tali tendenze altruistiche diventerebbero maggiormente selettive; il bambino cioè, a causa di varie influenze culturali ed educative, comprende che questa totale fiducia e disponibilità che riversa nel prossimo potrebbero esporlo a manipolazioni altrui, così, nel tempo, restringe i suoi comportamenti d’aiuto in base a diversi criteri: l’altro è affidabile? Approfitterà della mia bontà? E’ la causa di situazioni negative che ho vissuto? Meglio lasciar perdere e pensare a me stesso e al mio ego!
Osservando il nostro comportamento infatti si può essere tentati di affermare che l’inclinazione verso azioni socialmente riprovevoli, distruzione o anche solo indifferenza sia più marcata che la tendenza verso la comprensione, la generosità e la collaborazione con gli altri.

Adesso mi chiedo: il fine educativo più importante oggigiorno è controllare gli innati comportamenti aggressivi per insegnare al bambino delle condotte regolate e socialmente adeguate o supportare la naturale tendenza alla prosocialità? E se penso al bullismo o a brutalità simili mi domando in che modo noi adulti siamo riusciti a bloccare il desiderio spontaneo del bambino di aiutare, condividere, socializzare.
Siamo in grado noi adulti di sostenere la naturale prosocialità dei bambini? O, dinnanzi a un gesto prosociale, la prima domanda che gli porgiamo è: “ma in cambio cosa hai ricevuto?”
Come aiutare qualcuno senza che lui non ti debba niente? Come aiutare qualcuno a fare per proprio conto? Come liberare qualcuno senza sostituirsi alla sua personalità? Come legarsi e contemporaneamente liberarsi? Tutte domande alle quali la pedagogia contemporanea cerca di rispondere.
Il segreto è tutto in quel platonico rivolgersi dell’anima che non può essere cominciato senza l’intervento dell’educatore, e non può essere compiuto senza il faticoso impegno dell’educando…
La prosocialità è dunque un elemento fondamentale per la produzione del benessere e deve avere uno spazio da protagonista in una scuola in cui è promossa l’eccellenza, anche umana.
Non solo nella scuola, ma nella società in genere i comportamenti prosociali migliorano le relazioni interpersonali e costituiscono una condizione necessaria per il raggiungimento di un adeguato livello di appagamento personale e di benessere, inoltre una grossa modalità di prevenzione di tanti disturbi di tipo psicologico e organico.
Portiamoci sempre dietro un flaconcino di prosocialità e usiamola all’occorrenza! Gli effetti non mancheranno!
Giusi Lo Bianco






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