Il fisico catanese Ettore Majorana era vivo tra il ‘55 e il ‘59


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Passeggio spesso lungo via Panisperna tenendo sempre un’andatura orgogliosa ed un’espressione compiaciuta, come se io stesso fossi stato uno dei membri di quello splendido gruppo di scienziati detto: i ragazzi di via Panisperna. Tra questi ultimi vi era il giovane Ettore Majorana, un fisico proveniente dalla sempre raggiante Catania e scomparso misteriosamente nel 1938. Considerato uno dei più grandi scienziati della storia per gli studi sull’atomo che, in parte, spinsero la ricerca anche verso la creazione del primo ordigno nucleare, Majorana è spesso ricordato per l’arcano che vela la sua vita.

majoranaLa procura di Roma ha, in qualche modo, svelato il segreto attraverso una speciale indagine. Si evince dalle ricerche che il fisico italiano si trovasse, a cavallo tra il 1955 ed il 1959, nella città di Valencia (Venezuela) come in un esilio volontario. Il fascicolo, scoperto nel 2011, rivela che non si trattò di omicidio né, tantomeno, di suicidio e che sono infondate le voci che volevano il collega di Fermi in ritiro in un convento. Ne deriva, quindi, una richiesta di archiviazione del caso.

Secondo il procuratore aggiunto, Pierfilippo Laviani, la prova che Majorana vivesse in Venezuela alla fine degli anni 50 sta in una foto scattata proprio nello stato sudamericano nel ’55, nella quale, secondo gli uomini del Ris, l’uomo immortalato di nome, conosciuto come Bini, sarebbe lo stesso Ettore Majorana. Nella foto il fisico è in compagnia di un altro emigrato italiano, il meccanico Francesco Fasani, subito dopo aver ricevuto un prestito. I tratti somatici, secondo Laviani, non mentono; nella richiesta di archiviazione si legge che la comparazione delle linee del viso dell’uomo nella foto (compresi naso, fronte, mento, orecchio) rivelano una perfetta sovrapponibilità con  quelli del padre del fisico.

Esiste anche una seconda prova a conferma della tesi della procura di Roma. Una cartolina inviata da Quirino Majorana, zio di Ettore e fisico internazionale molto vicino al giovane nipote, nel 1020 ad un certo W. G. Conklin, trovata dal Fasani nell’auto dell’uomo che si faceva chiamare Bini. Una coincidenza, un tassello che, se non lo completa, conclude una parte del puzzle.

 

Paolo Licciardello

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