UNA VITA RESILIENTE


L’Hagakure, il libro segreto dei samurai, paragona le persone alle barche: è quando il mare è in tempesta che si manifesta chiaramente la differenza tra quelle che tengono il mare e quelle che non ce la fanno.

La capacità di far fronte agli eventi traumatici riorganizzando positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà è chiamata resilienza. 

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Etimologicamente la parola “resilienza” deriva dal latino “resalio”, che significa saltare, rimbalzare. Il termine proviene dalla metallurgia e indica la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate; è l’esatto contrario della fragilità: la persona resiliente è l’opposto di quella vulnerabile.

Il resiliente è un ottimista che possiede un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda. Di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di tirar fuori senso di controllo, tolleranza alla frustrazione, capacità di ristrutturazione cognitiva, attitudine alla speranza.

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È resiliente quella persona che in circostanze avverse riesce a fronteggiare efficacemente la contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria vita, ponendosi comunque obiettivi di miglioramento che raggiunge poi con successo.

La resilienza può essere appresa e riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita, in particolare la famiglia e la scuola.

Se il bambino sperimenta relazioni positive acquisite grazie a figure di riferimento significative diventerà un adulto resiliente e concretamente equilibrato.

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L’azione più importante per potenziare la resilienza è quindi il rafforzamento dei vincoli affettivi come la coesione familiare, l’attenzione ai bisogni dei bambini, la loro protezione, una comunicazione ampia e adeguata, l’affetto e l’espressività.

Giusi Lo Bianco 

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