Desidero, quindi vivo!‏


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Tutto nasce con il desiderio. Veniamo al mondo grazie a un desiderio di maternità e paternità e, sin da bambini, la nostra vita è scandita da piccoli grandi desideri che, una volta realizzati, danno spazio ad altri. Il desiderio è la fiamma ardente della vita, è spinta, è passione, è preghiera, è fede, è rinnovamento. Quando i desideri si spengono ci sono solo insoddisfazione, noia, apatia…

Composto dalla particella privativa “de” e dal termine latino “sidus” che significa stella, “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle”. Sembra infatti che il termine abbia avuto origine dal linguaggio degli antichi aruspici che, trovando il cielo coperto dalle nuvole, non erano in grado di compiere le loro funzioni divinatorie perché non potevano vedere le stelle, dalla cui osservazione traevano le loro profezie. In questi particolari momenti di assenza del cielo stellato, si accendeva dunque negli aruspici un desiderio profondo delle stelle, che proseguiva sino al loro nuovo apparire.

L’etimologia, dunque, ci rimanda ad una condizione di assenza dell’infinito, caratteristica del desiderio.
Il rimando all’infinito distingue appunto il desiderio dal bisogno.
Il bisogno è determinato quanto al suo oggetto, mentre il desiderio tende alla totalità. La fame e la sete sono dei bisogni, perché bastano degli oggetti determinati per soddisfarli, come un pezzo di pane o un bicchiere d’acqua. Il desiderio, invece, non è mai appagato in modo definitivo dalle cose determinate.

Il desiderio, infatti, pur essendo legato al mondo dell’istintualità, cioè alla sfera dei bisogni, ne sporge permanentemente, perché presuppone un universo simbolico e culturale che al bisogno manca. Nutrirsi, ad esempio, è un bisogno animale, però l’uomo, a differenza dell’animale, non si nutre semplicemente, ma pranza, gode mangiando il cibo che gli piace con le persone a lui care. Il pranzare si differenzia dal semplice nutrirsi perché presuppone una ritualità sociale ed un codice simbolico che sono del tutto assenti nel mero bisogno.

La cultura greca intende il desiderio come una tensione verso una condizione di beatitudine originaria, a cui si spera di ritornare. La figura emblematica della cultura greca è infatti Ulisse, il cui desiderio è costituito da una torsione verso il passato, verso quel mitico paradiso perduto che è la sua originaria Itaca. Il desiderio di Ulisse è, fondamentalmente, nostalgia, cioè dolore per il ritorno , ovvero sofferenza per il distacco da una condizione originaria di beatitudine.
Anche Platone descrive il desiderio come “nostalgia”. Il mito, infatti, descrive questi esseri, costituiti da un uomo e una donna, ma anche da due uomini o due donne, uniti in un’unica persona, che, sentendosi oltremodo potenti, avevano tentato la scalata al monte Olimpo con il fine di spodestare Giove. Giove, però, per punirli, aveva diviso ciascuno di essi in due parti, ciascuna delle quali, da quel momento in poi, sarebbe andata disperatamente alla ricerca della sua metà perduta.

Oggi la realizzazione dei desideri avviene soltanto in modo illusorio, tendendo prevalentemente verso il l’appropriarsi di beni materiali. Questo spasmodico consumo ci rende sempre insoddisfatti, perché si tratta solo della somma di una serie indefinita di elementi finiti. Ci si illude che la quantità possa sostituire la qualità; che la molta materia supplisca allo spirito; che la moltitudine di beni materiali e spesso inutili di cui ci riempiamo ogni giorno possa diventare il surrogato della realizzazione dei desideri!

Eppure, agli antichi aruspici, bastava guardare le stelle!

Giusi Lo Bianco

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