Il mare del lutto


La Sicilia è l’isola della speranza. Gioia e dolore, isolitudine e generosità si scontrano con la realtà dura e scevra di ottimismo che la Società si trova a vivere.

La fuga verso la speranza continua a mietere vittime.  In tutto 460 persone, giovedì notte, sono state soccorse nel nord della Libia, a bordo di due barconi. I racconti delle vittime, il dolore nei loro occhi ci fanno carpire il grande senso di impotenza che è nelle nostre mani. Dopo cinque ore di navigazione, sarebbero sorti alcuni problemi ai motori e molte persone sarebbero annegate. Giovedì, venerdì, ogni giorno il racconto è simile. Secondo la Croce Rossa, la Guardia costiera libica è riuscita a riportare a riva i corpi di 82 migranti. Secondo la stessa fonte, altre 198 persone sono state messe in salvo, mentre almeno un centinaio risultano disperse. Si è parlato persino della individuazione in mare di circa 200 cadaveri, una quarantina incastrati in una delle due imbarcazioni, un piccolo peschereccio, e altri 160 che galleggiavano sul mare.

Sono i numeri del dolore, della morte, della disperazione.

La riflessione da accostare all’esigenza umanitaria in corso è la necessità di sensibilizzare l’umano intelletto troppo relegato all’abnegazione dell’amore verso il prossimo. Luoghi comuni e ipocondria razziale sono oggi il pane quotidiano nelle nostre città. Fomentare l’odio e la paura  è la demagogia di alcune figure politiche in auge.

E nel frattempo mentre qui si ci accapiglia sui famosi costi di un clandestino (Sempre in voga i coretti del popolo stanco “L’immigrato quanto ci costa!” “Loro ci tolgono il lavoro” e “Prima devono aiutare noi!”) in un editoriale del New York Times, ove si scriveva della tragedia in Austria, viene puntato il dito contro l’Unione Europea. Colpevole, secondo il quotidiano Usa, di «non essere stata in grado di elaborare un buon sistema di quote» – (e le responsabilità sono soprattutto di Gran Bretagna e Francia, che negli ultimi tempi hanno fatto di tutto per «fermare le persone alle frontiere») – e di avere fatto poco per aiutare i due Paesi più in difficoltà: Grecia e Italia.

Il mio auspicio, semplice e banale, è quello che il buon senso possa trionfare sull’ignoranza e che il verbo aiutare non sia tacciato di strumentalizzazione.

Alessia Aleo

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