Recita la Costituzione “ Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
Ecco che il 17 Aprile gli italiani saranno chiamati ad una scelta: dissertare, come spesso accade una votazione referendaria, o esercitare, ma in maniera cosciente, il proprio diritto di voto. In ballo questa volta l’attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro 12 miglia marine (circa 22,2 km) dalla costa. In poche parole dovrà decidersi se gli impianti già esistenti entro tale fascia costiera potranno, anche successivamente alla scadenza delle concessioni, continuare la coltivazione di petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento.
Ed ecco il quesito: ”Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Per il SI, e quindi per la chiusura degli impianti già esistenti alla scadenze delle relative concessioni, si schierano i comitati “No-Triv”, appoggiati dalle nove regioni che hanno promosso il referendum, nonchè diverse associazioni ambientaliste, lamentando per l’appunto i danni causati all’ambiente, alla salute e al turismo.
I fautori del NO, sottolineano al contrario come l’estrazione di gas e petrolio offshore, rappresenti per l’Italia un modo sicuro di limitare l’inquinamento in quanto, per lo meno negli ultimi anni, ha limitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere. La chiusura delle piattaforme esistenti avrebbe inoltre effetti nefasti anche a livello occupazionale, determinando la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Bisogna comunque evidenziare un punto fondamentale, ossia che l’esito positivo del referendum, ossia la vittoria del SI, non impedirà nuove trivellazioni/perforazioni, né la costruzione di nuove piattaforme, ma solo lo sfruttamento di quelle già esistenti. Il referendum incide infatti solo sulla durata delle concessioni già in essere. Qualora, dunque, si raggiungesse il quorum, le attività di estrazione dovrebbero immediatamente cessare alla scadenza delle concessioni cui sono collegate- tipicamente di durata trentennale- anche qualora sia rimasto ancora un ingente quantitativo di gas da estrarre. Secondo le prime stime, ciò potrebbe comportare, non solo la perdita di migliaia di posti di lavoro, ma anche la perdita di circa il 60-70% della produzione di gas nazionale. A tale fabbisogno, in mancanza di fonti rinnovabili, si dovrà sopperire con l’aumento delle importazioni – con rincari delle bollette- e del relativo traffico navale sui nostri mari, con tutti i pro e i contro, anche in termini di sicurezza, che una tale evenienza potrebbe determinare.
La libertà di autodeterminarsi inizia sicuramente con l’andare alle urne, ma deve esprimersi comunque con un voto consapevole. In libera scelta ogni cittadino voterà per il SI o per il No, ma ciò dovrà essere fatto attraverso una attenta valutazione della decisione cui si è chiamati. Bisogna lottare per l’ambiente ma con azioni più consapevoli ed effettivamente utili ed incisive.
Angela Scalisi






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