PAROLA ALL’ESPERTO


A cura della dott.ssa Valeria Barbagallo

 

L’Omicidio stradale è uno dei temi più discussi negli ultimi tempi. Il legislatore ha introdotto nuove tutele e misure repressive al fine di abbattere l’incidentalità stradale nonché le vittime. Di seguito l’intervento accurato dell’ Avv. Carmen Scalisi.

 

 

OMICIDIO STRADALE

dell’Avv. Carmen Scalisi

L’introduzione della nuova legge sull’Omicidio Stradale e sulle Lesioni Personali Stradali, come è noto a tutti, è stata sollecitata dalle istanze provenienti dalle associazioni che da anni chiedevano al Parlamento l’introduzione di un reato specifico che potesse risolvere in modo definitivo le problematiche relative all’omicidio stradale.

Su questo scottante tema si sono raccolte numerose opinioni contrastanti a difesa di una o di un’altra categoria.

La voce più grossa è stata senza dubbio quella delle associazioni delle vittime della strada, e quella dei familiari di chi ha perso la vita in seguito a incidenti stradali, che, con la legge n. 41/2016, hanno condotto all’introduzione nel nostro codice penale di un reato autonomo: il reato di Omicidio Stradale.

Nel dettaglio la nuova disciplina prevede:

  1. Per l’omicidio stradale colposo commesso semplicemente violando il codice della strada continua a essere prevista la reclusione da due a sette anni.
  2. Gli anni di detenzione aumentano, da otto a dodici, per chi causa la morte di una persona durante la guida “in stato di ebbrezza alcolica (con un tasso alcolemico superiore all’1,5 grammi per litro) o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope”.
  3. Sono previsti dai cinque ai dieci anni con un tasso alcolemico superiore a 0,8 grammi per litro e inferiore a 1,5.
  4. La reclusione sarà dai cinque ai dieci anni, in caso di condotte di particolare pericolosità, COMPORTAMENTI GRAVEMENTE IMPRUDENTI (eccesso di velocità sotto certe condizioni, guida contromano, infrazioni ai semafori, sorpassi e inversioni a rischio)
  5. È prevista una aggravante ad effetto generale (infatti, la pena può essere aumenta) se il responsabile guidava senza patente o con la patente sospesa o revocata, oppure un’auto di sua proprietà priva di assicurazione; è prevista una diminuente ad effetto speciale nel caso di concorso di colpa da parte della vittima: in tale evenienza la pena può ridotta fino a metà.
  6. È prevista un’aggravante nel caso in cui il conducente si dia alla fuga dopo l’incidente: la pena può essere aumentata da un terzo a due terzi e non può essere comunque inferiore ai cinque anni di carcere.
  7. Nel caso di morte di più persone o di morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applicherà il cumulo giuridico (con aumento fino al triplo) ma la pena non potrà in ogni caso superare gli anni diciotto.
  8. L’art. 590 quater ha previsto il divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti nel caso in cui ricorrano le aggravanti previste dal presente testo.
  9. In caso di condanna o patteggiamento, vi è un’espressa deroga alla norma dell’art. 166 c.p. (che prevede che le pene accessorie seguano la sospensione condizionale) anche con la sospensione condizionale della stessa sarà automaticamente revocata la patente. Se ne può ottenere una nuova solo dopo quindici anni, o venti in caso di precedenti condanne per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope; o dopo trenta se il conducente è fuggito dopo l’omicidio stradale ovvero fosse alla guida in stato di ebbrezza alcolica o alterazione psicofisica per uso di sostanze e abbia superato i limiti di velocità al momento della determinazione del sinistro.

 

Nel contempo, all’art. 590 bis, è stato introdotto il nuovo reato di Lesioni personali stradali che in concreto prevede:

  1. Per chi ferisce altre persone violando il codice della strada sono previste pene detentive da tre mesi a un anno per lesioni gravi, da uno a tre anni per lesioni gravissime.
  2. Se il fatto è commesso da una persona in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti lett. c), la reclusione aumenta da tre a cinque anni per lesioni gravi, da quattro a sette per quelle gravissime.
  3. Se il tasso alcolemico resta al di sotto della soglia dei 0,8 grammi per litro, o se l’incidente è causato da una condotta di particolare pericolosità, è prevista una pena variabile: da un anno e sei mesi a tre anni per lesioni gravi, e da due a quattro anni per quelle gravissime.
  4. L’aggravante per fuga dopo l’incidente è prevista anche per le lesioni stradali: la pena può aumentare fino a due terzi e non può essere inferiore a tre anni di detenzione. 

Molti di noi si sono chiesti se fosse realmente necessario introdurre queste nuove fattispecie di reato.

Nelle intenzioni iniziali e nell’immaginario collettivo la nuova normativa avrebbe dovuto colpire i pirati della strada attraverso una forma di prevenzione generale,  stigmatizzando quelle azioni –  come appunto l’assunzione di alcool e droga –  che a fronte di eventi dalla natura di per sé colposa, denotano una iniziale volontarietà, che va pertanto scoraggiata e punita con maggiore severità.

Trattandosi di reati colposi è quasi inevitabile sollevare obiezioni sull’applicazione del concetto di prevenzione che, indubbiamente, è ciò che la normativa ha inteso rafforzare.

Questo perché il meccanismo del reato colposo non si caratterizza per una disobbedienza volontaria, ma per una disobbedienza determinata da imprudenza, imperizia e negligenza (nel caso della colpa c.d. generica), o dalla violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline (nel caso della c.d. colpa specifica) ed è proprio su questo punto che la legge è intervenuta.

La severa misura sanzionatoria agisce, infatti, sulle azioni che precedono il verificarsi dell’omicidio stradale, ossia sulle condotte di assunzione volontaria di sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché sull’assunzione di sostanze alcoliche; condotte  che sono state tutte tipizzate dal legislatore e che le ha ritenute connotate da grande imprudenza.

In tutti questi comportamenti vi è, quantomeno, una fase iniziale di tipo volontario: da qui la possibilità di scoraggiare e punire le stesse.

Il cittadino che oggi assume in maniera abituale, o comunque frequente, sostanze stupefacenti e alcoliche, deve sapere che una loro squilibrata assunzione, seguita dalla guida di autoveicoli, lo farà incorrere in una sanzione estremamente severa.

La norma introdotta nel codice penale, quindi, interviene allo scopo di punire quell’elemento di sconsideratezza all’ “origine” della condotta che solo “successivamente” è causa della morte o delle lesioni personali.

 

Oggi, a distanza di oltre 15 mesi dall’introduzione della nuova fattispecie il bilancio è deludente: la Polizia Stradale ha diffuso dei dati riguardanti lo scorso anno che hanno rilevato una media di una morte al giorno sulle strade.

Le nuove norme hanno avuto principalmente l’effetto di inasprire sensibilmente le pene non solo per i c.d. pirati della strada, ma anche per le persone “normali” che commettono un errore.

Da notare come il minimo della pena sia passato da tre a otto anni (quasi triplicato) e il massimo da dieci a dodici. Quindi c’è una sproporzione.

La ragione è evidente, si è voluto sopperire a tutte quelle situazioni in cui il Giudice, applicando il minimo della pena, in concreto, ha sanzionato in maniera mite fatti avvertiti di elevato allarme sociale.

E questi, sono i casi che riguardano gli ubriachi e i drogati, dove vi è quella parte di condotta volontaria (sconsideratezza) all’origine della situazione di pericolo; da notare che la medesima pena è prevista per i c.d. soggetti che professionalmente svolgono attività di conducenti di mezzi a motore che abbiano provocato morti o lesioni stradali anche con un tasso alcolemico inferiore.

A sollevare perplessità, in particolare, sono tutti i casi in cui la normativa trova applicazione con riferimento ad individui normali che guidano l’automobile, che possono ritrovarsi inconsapevolmente o, per meglio dire, colposamente in una delle situazioni descritte al comma 5 del nuovo art. 589 bis.

Questa fattispecie legittima che queste persone vengano dichiarate assassine o criminali e punite con una pena che va da un minimo di cinque anni ad un massimo di dieci.

La nuova normativa ne prevede l’arresto immediato non perché sono drogate o se bevono, ma se passano col rosso, se fanno un’inversione di marcia, se fanno un sorpasso azzardato, se hanno una velocità – per esempio – in città, di oltre 70 chilometri all’ora, senza considerare anche il contesto, il luogo dove ci si trova.

Ci si è domandato poi, perché solo queste quattro tipologie di infrazione conducono a una condanna così pesante. Perché non altre? Perché, ad esempio, non è stato inserito l’uso del telefonino o la mancata revisione dell’automobile.

In questo modo si è aperta la strada alla discriminazione tra vittime di questi reati e anche tra gli imputati di questi reati.

Alcuni soggetti, alcuni imputati saranno condannati, per alcune violazioni del codice della strada, che sono quelle contenute nel comma 1 del nuovo art. 589 bis (faccio l’esempio del telefonino o della mancata revisione dell’autovettura), con pene dai due ai sette anni; mentre, per altre violazioni del codice della strada, quindi altri imputati, saranno, appunto, oggetto di sanzioni che vanno dai cinque ai dieci anni. La preoccupazione non è solo per il massimo edittale che è elevato, ma soprattutto per il minimo che quasi azzera la discrezionalità del Giudice nel valutare i comportamenti sottostanti.

Ancora. Concorso colposo della vittima.

La nuova disciplina prevede – e questa è una novità – che qualora ci sia concorso colposo della vittima (e, quindi, la vittima compie anche una minima infrazione che gli permetta di concorrere con la colpa, appunto, nell’evento finale della sua morte o delle sue lesioni), ci sarà una diminuzione della pena fino alla metà. Circostanza attenuante ad effetto speciale.

Ogni volta che si riuscirà ad accertare anche una minima condotta colposa da parte della vittima, quindi, l’imputato avrà la pena ridotta fino alla metà.

Il nostro codice attuale prevede che il concorso di cause non diminuisca la responsabilità dell’autore (a meno che non siano state da sole sufficienti a determinare l’evento), ed il grado della colpa sia già una di quelle componenti che il Giudice debba tenere in contro tra i parametri di cui all’art. 133 c.p. per stabilire la pena in concreto da irrogare. È evidente che con tale norma si sia voluto ovviare alla rigida determinazione dei limiti edittali.

Esiste, poi, un problema scientifico che attiene alle soglie che decidono il destino, anche grave in termini quantitativi di pena, della persona che comunque è colpevole e merita di essere punita in maniera.

Dovrebbe potersi stabilire in maniera più scientifica la soglia di capacità di reazione individuale e quindi della possibilità di controllo o meno dell’autoveicolo conseguente all’assunzione di determinate sostanze.

Il problema è soprattutto per l’alcol, che è la cosa più normale che capita a chiunque. Il pericolo – concreto – è che con una previsione di pena così elevata, e non consentendo all’imputato di potersi difendere adeguatamente dimostrando la sua capacità diversa, rispetto a quella che lo Stato vuole presumere inabilitante, si finisce con il violare il diritto alla difesa.

Viene preclusa, dunque, la possibilità di dimostrare che l’eventuale colpa non è insita in quello stato incapacitante, ma possa derivare da un’altra motivazione.

Il discorso è analogo per l’utilizzo delle sostanze stupefacenti, in cui giustamente anche la Cassazione ha ribadito la necessità che il soggetto si trovi in uno stato di alterazione psicofisica determinato dall’assunzione della sostanza, e non la semplice assunzione (difatti il nuovo testo espressamente inserisce questa espressione).

Volendo cogliere gli aspetti più evidenti della nuova normativa, non sfugge come l’inasprimento delle pene con minimi edittali particolarmente alti (basti pensare che l’omicidio colposo è punito con una pena che va da 6 mesi a 5 anni) sia proteso ad eliminare ogni spazio di discrezionalità alla magistratura.

Perché? Forse la verità è che la magistratura non sempre ha dato risposte adeguate al sentire della società di fronte a fatti di eclatante impatto emotivo. A volte anzi, le sanzioni comminate sono state talmente inadeguate che una parte della giurisprudenza ha tentato di convertire in quei casi il grado di colpevolezza del reo da colpa cosciente a dolo eventuale, per consentire di qualificare i reati come omicidi volontari e garantire così una pena adeguata al caso concreto.

Questi tentativi si sono, tuttavia, scontrati con i principi ribaditi a più riprese dalla Cassazione, che ha ristabilito i confini del dolo eventuale sbarrando così questa strada.

Cos’è accaduto?

La recente esperienza giudiziaria, nei casi di guida spericolata o in stato di ubriachezza seguita dalla causazione di eventi letali, ha messo in discussione l’incerto confine tra dolo e colpa.

Sebbene si sia in presenza, normalmente, di tipica fattispecie colposa, caratterizzata dalla palese violazione di regole cautelari in alcuni casi, noti alla cronaca, è accaduto che la guida fosse talmente lontana dallo standard dell’ordinaria prudenza da ipotizzare l’accettazione concreta dell’evento che caratterizza il dolo eventuale.

La Suprema Corte, tuttavia, ha messo in guardia circa il possibile equivoco che potrebbe annidarsi nella mera evocazione dell’accettazione del rischio: l’accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l’evento non direttamente voluto.

Il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo e l’art. 43 cod. pen. richiede non soltanto la previsione, ma anche la volontà di cagionare l’evento, giacché altrimenti si avrebbe la inaccettabile trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo, con la estrema conclusione che ogni qualvolta il conducente di un autoveicolo attraversi col rosso una intersezione regolata da segnalazione semaforica, o non si fermi ad un segnale di stop, in una zona trafficata, risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale, in virtù della violazione della regola cautelare e della conseguente situazione di pericolo scientemente posta in essere.

Perché sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare è proprio l’evento. E’ il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall’agente, pur di non rinunciare all’azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo.

Si è considerato che, non essendo provata una volontà diversa, non è possibile ritenere che l’agente abbia voluto l’evento, altrimenti si finirebbe per sostenere l’esistenza di un dolo in re ipsa per il solo fatto della condotta rimproverabile, con conseguente inversione dell’onere della prova (Sez. 4, n. 13083 del 10/02/2009).

Dato questo problema, dunque, il legislatore è intervenuto ponendo dei vincoli molto stringenti  ai magistrati, con pene estremamente severe, specie nei minimi, ed aggravanti ad effetto speciale che, come sappiamo, si sottraggono alla regola del bilanciamento delle circostanze.

Alla luce di queste riflessioni, potendosi tracciare un primo bilancio circa l’efficacia della nuova legge, credo sia possibile ritenere che non si sia raggiunto lo scopo di ridurre il numero di decessi da incidenti stradali in Italia.

Anzi, spesso si sono sortiti effetti contrari a quelli auspicati dai promotori della legge.

Ad esempio, la fuga del conducente e pirateria, probabilmente, sono aumentati con l’introduzione di questo testo.

Teniamo conto che malgrado le nuove disposizioni prevedano che, se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni, è stata introdotta la previsione dell’obbligatorietà dell’arresto in flagranza dell’autore del reato (obbligatorietà finora dettata solo per i reati dolosi).

È evidente, allora, che fra l’arresto certo e una pena così alta è, altamente probabile che il conducente cerchi di darsi alla fuga, così incrementando il fenomeno della pirateria.

Per concludere, è chiaro che l’incidentalità stradale rappresenti un problema rilevante e come tale vada affrontato, introducendo strumenti dissuasivi per chi ritiene di potersi mettere alla guida pur non essendo completamente padrone di sé stesso, in disprezzo della vita altrui.

 

Chi consapevolmente, con la sua condotta irresponsabile, provoca il decesso di persone innocenti o lesioni invalidanti deve subire una sanzione severa, ma non penso che la risposta adeguata sia contenuta nella nuova legge.

È, viceversa, indispensabile una continua campagna nazionale per la sicurezza stradale, l’intensificarsi della presenza delle forze di polizia sulle strade, l’educazione al rispetto delle norme della Circolazione stradale che dovrebbe cominciare fin dalla scuola, il rinnovamento delle autovetture con altre tecnologicamente più attrezzate, la manutenzione delle strade che spesso è concausa di terribili incidenti stradali, solo per fare alcuni esempi.

Non a caso Cesare Beccaria, nella sua opera più famosa “Dei delitti e delle pene”, affermò che “più che la gravità della pena ne conti “la certezza.

Portata ai nostri tempi e nel nostro Paese, la certezza della pena è ancora argomento di riflessione, oggi il processo penale con le sue lungaggini spesso genera il paradosso della non giustizia per le vittime e l’autorizzazione a delinquere per chi sbaglia.

Per dare una risposta adeguata alle morti da incidenti stradali per condotte gravemente imprudenti (e realizzare l’obiettivo di prevenzione generale da tutti desiderato) non si deve, dunque, puntare all’aumento delle pene, quanto alla loro concreta irrogazione ed espiazione.

 

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