Latino e greco: davvero lingue inutili?


Ieri in treno ho assistito a una discussione tra ragazzini di terza media che fantasticavano sulle possibili scuole superiori da frequentare l’anno prossimo e uno di loro diceva che avrebbe escluso dalle sue alternative il liceo classico perché il latino e il greco secondo lui sono lingue inutili. A quanto pare non è l’unico a pensarlo perché i licei classici sono in crisi un po’ in tutta Italia. Lo sceglie solo il sei per cento degli studenti (e per la maggioranza ragazze, statisticamente destinate più a una carriera da insegnanti che a manovrare le leve del potere) ed è comunque considerato la fucina delle élite intellettuali di un Paese che ormai, delle élite e degli intellettuali, pensa di poter fare una sola cosa: rottamarli.

Non si imparano il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti. Si imparano per conoscere le civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale.

Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere, ma che continuamente si ricompone in vita.

“Tradurre un testo classico significa mettere in atto un ragionamento complesso che stimola i processi analitici, sintetici, intuitivi, gnoseologici, che induce a impostare un’ipotesi di lavoro e sottoporla, poi, a critica per vedere se funziona”, sostiene Massimo Cazzulo, grecista e docente al Tito Livio di Milano.

Anche lo studio è un mestiere ed è molto faticoso, ha un suo speciale tirocinio anche nervoso – muscolare, oltre che intellettuale, è un processo di adattamento acquisito con lo sforzo, il dolore, la noia.

Insomma queste “lingue morte” propongono veri problemi da risolvere.

Giusi Lo Bianco

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