L’obiettivo che mi propongo ogni giorno nel mio lavoro è insegnare ai miei alunni e alle mie alunne a far pace con i loro errori. Nell’errore c’è dentro un sacco di roba: ci stanno la delusione, la frustrazione, il desiderio di farne sempre meno, ci sta lo sforzo, ci sta soprattutto il “fare”.
Viviamo nei tempi delle porte chiuse, dei muri, delle fatiche, delle strade in salita che sembrano non scendere mai e delle frustrazioni. Sbagliare e fallire sono una grande palestra per imparare a vivere e l’errore è un grande maestro di vita.
La condivisione dei propri “giorni no”, in questo cataclisma, pare essere una pratica virtuosa e liberatoria.
Qualche tempo fa Johannes Haushofer, docente di Psicologia a Princeton, pubblicò su Twitter il curriculum dei suoi fallimenti: i programmi di dottorato che non lo avevano accettato, le borse di studio che non aveva vinto, le domande di assunzione respinte, i premi e i fondi di ricerca che non aveva ricevuto e tutti gli articoli spediti e rifiutati dalle riviste scientifiche. Una vera e propria lista di flop insomma!
Di questa impudica impresa si occuparono sia la Rete sia giornali di tutto il mondo.
Ogni vincitore, se ci pensiamo, è stato messo al tappeto prima di alzarsi e riprendere la corsa. Imparare dai propri errori e costruirci sopra un futuro di traguardi dovrebbe essere una delle nostre maggiori aspirazioni.
Le delusioni vanno guardate in faccia! E questa dovrebbe essere un’arte che andrebbe insegnata sin dalla scuola primaria.
Ognuno di noi ha il proprio curriculum di fallimenti: rinunce, deprimenti no, inadeguatezza, fragilità, esclusioni e autoesclusioni.
E la condivisione inizia proprio da se stessi, aprendo i propri armadi e liberando gli scheletri.
Giusi Lo Bianco






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