PENNE EMERGENTI – Alfonso Gelo


A cura della dott.ssa Valeria Barbagallo

Cari lettori, vi esorto a leggere attentamente questa affascinate interpretazione di Alfonso Gelo dell’espressione spesso impropriamente utilizzata del “Politicamente Corretto”

IL “POLITICAMENTE CORRETTO”

Sapere che l’espressione “politicamente corretto” trae origine in un movimento politico culturale americano alla fine degli anni ottanta, e riflettere che come nel caso del “radical chic” tutto nasce negli Stati Uniti ci mette davanti ad una prima difficoltà: resistere alla tentazione di definire “americanate” tali questioni.

Anzitutto opporsi al concetto seppur elaborato di “correttezza” qualche difficoltà la pone, e poi l’espressione rappresenta effettivamente un’evoluzione culturale.

Scegliere, infatti, di rispettare le minoranze anche dal punto di vista linguistico è un’intenzione encomiabile, rappresenta un salto di qualità. Certo, si tratta di un’operazione molto ambiziosa, che dà per scontato che al linguaggio sia riservata la dovuta attenzione. La difficoltà sta, probabilmente, nel far capire l’ opportunità di adottare un linguaggio corretto, nonostante da questo non derivi un miglioramento diretto della condizione delle minoranze.

Solo che, quasi per un riflesso condizionato, i sostenitori del politicamente corretto hanno finito per essere considerati un po’ come i fautori dell’uso di coltello e forchetta per mangiare la frutta. Il trucco di dare una rappresentazione parodistica di principi giusti, ha avuto facile gioco. Un po’ come se l’educazione rappresentasse una perdita di tempo, roba da mammolette, una dimostrazione di debolezza.

D’altro canto bisogna dire che il politicamente corretto ha facilitato un po’ le cose, nel senso che l’eccesso di correttezza ha ingessato il dibattito. Un controllo quasi isterico del linguaggio in cui ha la peggio l’ironia, la satira e che dipingono il quadro di un mondo quasi sull’orlo di una crisi di nervi, probabilmente esacerbato dalla comunicazione fatta di post e tweet. La sfumatura del timbro di voce, l’espressione facciale, l’assenza di questi elementi impedisce quella interazione che rende più semplice capirsi, magari attraverso la  possibilità di essere contraddetti e potersi eventualmente correggere.

L’esame al microscopio della correttezza è passato spesso a contagiare anche il contenuto. Cosicché l’argomento del politicamente corretto è stato utilizzato per disarmare i detentori di un’opinione scomoda.

A questo punto bisogna resistere alla tentazione iniziale, snobbare il politicamente corretto come cianfrusaglia culturale piuttosto antipatica.

Anche perché il politicamente scorretto riesce a superare l’originale. In peggio. Accarezza gli istinti di imbarbarimento del dibattito in maniera subdola. Diventa sostanzialmente un viatico per i rigurgiti di sessismo, xenofobia, razzismo e qualt’altro si nutra della rabbia e della volgare soddisfazione di assecondare gli impulsi. Quasi che la fame possa essere sconfitta permettendosi di mangiare con le mani.

Al di là del fatto che anche il politicamente scorretto pecca di conformismo e della stessa presunzione, quasi come quei ragionamenti di contrasto alla religione sostenuti con rigidità degne di sacerdoti al contrario, il rischio è un altro.

Quello che la lotta al politicamente corretto sia la veste ipocrita con cui i rigurgiti di cui sopra si infiltrino nel dibattito e nella società.

L’America è fissata col politicamente corretto, ma io non ho tempo per queste cose: ci sono cose più importanti da fare”, questa frase rappresenta, da un verso, un pessimo spot per la corrente “scorretta” e  fa rimpiangere, anche se impegnativi, i proponimenti del politicamente corretto. Dall’altro verso soffia sul vento dell’arretramento culturale. E’ difficile far due cose allo stesso tempo. Donald Trump c’è riuscito. Commentare a tono è una tentazione affascinante, ma altrettanto insidiosa.

Alfonso Gelo

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