“Lo sconosciuto” è un racconto breve o, per meglio dire, un “romanzo breve” non solamente perché l’autrice, Iréne Némirovsky, è deceduta di tifo ad Auschwitz a soli 36 anni prima di poterlo ultimare, ma perché rappresenta un condensato di immagini ed attimi surreali in cui si completa magistralmente la storia ed il significato ivi racchiuso.
L’incipit della seconda guerra mondiale fa da sfondo ad un dialogo tra due fratelli entrambi soldati pronti a rientrare ai propri battaglioni dopo aver assistito al matrimonio della sorella, orfani di padre, di età e di idee differenti attendono il convoglio che li porterà nuovamente al fronte. L’atmosfera descritta ricorda gran parte delle immagini di vita surreale che la guerra ha causato e la storia ha tramandato a noi: profughi in fuga, bagagli accatastati a formare montagne, intere famiglie a stipare una stazione buia. Il maggiore dei fratelli, visibilmente pensieroso e preoccupato racconta al fratello di una delle sue ultime esperienze sul campo di battaglia: una sorta di vineria francese in cui aveva trovato rifugio insieme ai compagni di perlustrazione. Questa battaglia contro i tedeschi cambierà per sempre la vita di entrambi i protagonisti riportando alla luce i pochi ricordi del padre scomparso durante la grande guerra.
Strabiliante come con semplicità l’autrice da una storia del tutto personale, riguardante i rapporti e le vicende della famiglia dei due fratelli, e con un colpo di scena induce il lettore a comprendere che la mostruosità del conflitto mondiale toccherà l’intera umanità unendo in una globale fratellanza singole persone ed interi popoli. Fratelli sono i propri familiari, lo sono i compagni ma in qualche modo anche i nemici, in guerra e in pace.
Tutto ciò ci riconduce ai giorni in cui viviamo; dimenticare o non ricordare, far finta che nulla sia mai successo o che gli orrori non possano ritornare perché impossibili, non potrà che portarci alla rovina.
Paolo Licciardello






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