Franco Ferrarotti oltre ad essere professore emerito di Sociologia all’Università di Roma La Sapienza è stato deputato al Parlamento italiano e, senza alcun dubbio, entrambe queste sue profonde tracce di esistenza lo rendono tra i più esperti di “viaggi di studio” della società, dell’evoluzione sociale e dei parametri che ne determinano i cambiamenti.
Tali cambiamenti, come è lecito aspettarsi, possono essere positivi o negativi o traghettarci su rotte differenti ma devono essere costantemente monitorati per poterne comprendere le conseguenze e, se è possibile, placarne i disastri derivanti. Lo impone la storia e lo impone l’essere umano, il lavoro, come spesso ricorda l’esimio professore quasi a modo di rimprovero, di sociologi e specialisti di ogni genere della psiche, dell’evoluzione, dello studio dell’essere umano in tutte le sue sfaccettature non può affievolirsi.
In quest’ultimo breve ed intenso saggio il Ferrarotti non solo ci pone davanti i maniera ordinata e limpida a come ci ha trasformati il mondo della rete: quel modo poco attento e troppo rapido di comunicare, la perdita del contatto diretto che tanto osanniamo senza infine far nulla per ottenerlo; viene tralasciato l’antefatto, la ricerca della verità senza mai porci le giuste domande.
Il viaggio alternativo, al di fuori del distretto della “pattumiera web”, che ci offre l’autore ci porta a ripercorre quei lunghi pensieri derivanti dagli studi giovanili anche di molti lettori, sorvolando e fotografando i pensieri dei grandi filosofi antichi e moderni come Marx e Prohudon che grazie alla loro diatriba a suon di scritti: la filosofia della miseria e la miseria della filosofia, riconducono alla alienazione dell’essere umano e delle sue relazioni. A tal proposito si legge infatti: “Per Marx la divisione del lavoro – che secondo Proudhon è un prius rispetto alle macchine – esiste in realtà soltanto nell’industria moderna, non ha inizio al principio del mondo. Marx critica a fondo la tesi dei Proudhon secondo la quale l’opificio è nato dalla divisione del lavoro e il salariato dall’opificio”. E continua: ”Intendo elaborare un ragionamento analogo circa le ricadute sociali dei nuovi aggeggi elettronici, pur sapendo che le loro conseguenze investono tutta la realtà ed offrono in apparenza una socialità più ampia e più ricca, mentre invece si tratta di una socialità fredda , per tutti e per nessuno, che nega il linguaggio del corpo ed il rapporto umano autentico, il faccia a faccia, e che, al limite, mette a repentaglio l’esistenza della stessa società umana, ridotta a mera congerie di messaggi irresponsabili, spesso offensivi, non potendo contare su una critica delle fonti e portando inevitabilmente alla confusione fra accesso ed eccesso”.
Il lettore potrà continuare il viaggio tra le tappe che hanno segnato e segnano l’ultimo secolo della nostra storia, penso allo “scalo” rappresentato da Pasolini, quasi inteso come un oracolo del secolo passato, per il quale la società guidata dalla televisione aveva già imboccato una strada senza ritorno.
Siamo davanti ad un saggio, breve, forse non del tutto condivisibile in certi aspetti ma che ha la forza, in poco tempo, di smuovere il pensiero del lettore, o almeno di indirizzarlo verso una ricerca introspettiva, come la storiografia permette con lo studio della storia, su un aereo o su un divano, in riva ad una spiaggia o sulla cima di un monte, con lo smartphone sempre pronto al nostro fianco.
Paolo Licciardello






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