“Voglio insegnare e voglio scrivere e poi voglio avere tanto tempo libero per guardare il sole tramontare tutti i giorni”.
Credo che la mia infanzia sia stata profondamente segnata da mia madre che mi regalava tanti libri e di certo “Piccole Donne” avrà creato i suoi effetti e depositato certi desideri nella mia scatola dei sogni. Jo March che si richiudeva in soffitta e non faceva altro che scrivere mi destava sempre una certa curiosità.
Quando si è bambini il futuro è una scatola magica, zeppa di sogni, ambizioni e idee sbilenche, luci psichedeliche e un po’ di sano egocentrismo. A 10 anni non c’è realismo o razionalità che possa fermarti, non li conosci e quindi non esistono.
A 10 anni il mio futuro era un posto morbido nella soffitta di Jo March.
Crescendo, ad un certo punto, oltre che sognare, bisogna negoziare.
La strada in cui camminiamo non è che il frutto di una contrattazione tra quello che vorremmo e quello che dobbiamo essere, tra voli onnipotenti e iperbolici della nostra immaginazione bambina e il realismo un po’ pavido delle nostre responsabilità adulte.
Il talento così attraversa fantasia e compromesso e si sposta dal migliore dei mondi possibili, quello infantile dell’onnipotenza, alla migliore approssimazione della felicità.
Come Jo March io insegno e scrivo, perché la granitica rotondità dei sogni ha ceduto il posto alla dinamica instabilità del realismo. Il gioco si è fatto spesso duro, i sacrifici tanti, la fatica talvolta insostenibile.
Nel mio percorso ho capito una cosa indispensabile: il compromesso è un’arte sottile e raffinata nobile quanto sognare.
Giusi Lo Bianco






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