PALCOSCENICO – LA SICILIA NEGLI OCCHI: IL TEATRO DI EMMA DANTE


rubrica a cura di Valeria Barbagallo

Una regista drammaturga siciliana, una donna di tutto rispetto direbbero a Catania, Emma Dante, come tanti altri artisti siciliani, in fondo, è la Sicilia che più a noi piace. E se è pur vero che gli occhi non mentono, vogliamo iniziare questa sorta di viaggio introspettivo, dai suoi di occhi, da lei e dal suo modo di fare teatro. Ad Emma e alla sua arte, qui, tutto è concesso, anche mentire, e nella recitazione, si sa, si mente con estrema spudoratezza e lo fanno meravigliosamente bene i suoi attori in scena. Ed è così che si spengono le luci ed inizia la magia del teatro di Emma, a luci spente tutto viene assorbito dal buio, che, come dice lei, precede sempre la luce, quella stessa luce che a teatro in ogni suo spettacolo diventa vita, così come fa ogni volta il silenzio che cede il passo alla nota musicale. Con estrema lucidità riesce ad esplorare le più svariate tematiche familiari, la solitudine delle stesse e l’emarginazione, tutto questo attraverso una sorta di poetica di tensione accompagnata sempre da una buona dose di follia. Il suo teatro senza follia non avrebbe ragione d’esistere così come lo straordinario umorismo che la contraddistingue.  Incoscienti delle loro azioni gli attori, improvvisando, vengono sollecitati a mettere in campo il loro bagaglio di umanità e vita, la loro esperienza personale. Emma trova il personaggio scavando in fondo all’io d’ognuno dei suoi attori protagonisti, come un’abile archeologa dell’anima, riesce a dare voce, a fare parlare ognuno di loro. Il suo teatro ha una necessità, quella di ricercare una genesi della parola. In scena ama gli spazi vuoti, quegli stessi spazi che gira e rigira avranno sempre a che fare con quella genesi della parola, e paradossalmente anche la luce, nei suoi spettacoli diventa inevitabilmente attrice, così come attore sarà l’oggetto inanimato, con il quale i suoi attori sono chiamati a dialogare. I suoi spettacoli che continua a cambiare, i finali che non saranno mai gli stessi, questa Emma ed il suo strano teatro, che spenti i riflettori, a detta sua, muore, ma che poi si rigenera alla successiva messa in scena, una sorta di morto vivente, un miracolo che si rinnova.

 

Una sorta di pescatrice, che aspetta il pesce all’amo. Le prede? Ma i suoi attori naturalmente!  E qui diventa incredibilmente abile nel “fotterli”, proprio così, riesce sempre in un modo o nell’altro a tirarli dentro a delle storie che rasentano la follia, atmosfere oniriche, situazioni altalenanti che traballano tra ironia e linguaggio grottesco.

La musica nei suoi laboratori è sempre lo strumento con cui riuscire a far muovere i suoi attori, quella stessa musica che si zittisce e permetterà loro di raggiungere il silenzio. Il teatro di Emma Dante, diciamocelo, è ingombrante. L’attore che sale sul palcoscenico viene costantemente travolto da questo ingombro, e man mano comincia ad abitarlo, a viverlo, ad ascoltarlo.

Chi si ferma è perduto, celebre la frase, tanto quanto il concetto di per sé, è quello che succede in scena alle sorelle Macaluso, una delle sue tante opere, dove noi leggiamo tutta la Sicilia di Emma Dante. Una strana famiglia composta da sette sorelle, donne fragili, controverse, sfrontate, che con i ricordi appaiono incapaci di opporsi al loro destino. Riescono a piangere e a ridere della loro storia, e lo fanno in un momento luttuoso di una di loro. In scena, paradosso dei paradossi, i morti si alternano ai vivi, e gli spettatori inermi riescono a malapena a capire chi siano gli uni o gli altri.  Appaiono e scompaiono nel vuoto dello spazio scenico, separato da una sola linea, il sottile confine tra il qua e il là, dove da una parte e dall’altra si combatte ancora, e “battagliere” sono quelle sette donne siciliane, proprio come lo sono i pupi siciliani armati di spade e scudi luccicanti.

 

Kalos

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