In Sicilia certe cose non ci è permesso toccarle, una di queste, signori, è la nostra “Cassata”, regina incontrastata della pasticceria siciliana, proprio così, un dolce che da solo ha la capacità di raccontarvi la strabiliante storia del popolo siciliano. E come lo fa lei, la cassata, non lo fa nessuno… Spiegato l’arcano motivo che ci rende così sfacciatamente orgogliosi, qui in Sicilia, con la cassata, non si parla solo di territorio, ma di patrimonio dell’umanità. E poi si sa, quando una cosa è buona e piace a tanti, si diventa incontrollabili, si perde ogni freno inibitore, ed è facile approdare nell’ingordigia, a cadenza settimanale s’intende, anche se la cassata, a dire il vero, noi siciliani la mangiamo la domenica, attorno ad un tavolo, tra gli affetti familiari, e poi quando si fa festa, cioè sempre, visto che in Sicilia ogni occasione è buona per festeggiare, per Natale e per Pasqua, insomma si mangia sempre. Vorremmo solo raccontarvi la cassata, in un altro modo, lo faremo, invitandovi ad aprire la bocca e iniziando ad assaggiarla. Raccontarvi la cassata attraverso il morso! E cosa provano le nostre papille gustative quando entrano in contatto con i suoi ingredienti. Il dolce dai “corredi” preziosi, fatti di centrini di ghiaccia reale, ciliegie candite che ricordano bottoni, e passamanerie di zucca candita le balze di nobili tessuti, e qua e là, ricami di zucchero che ricordano il prezioso macramè. Tagliandone una fetta, poi, si intravedono strati arzigogolati di ricotta che cede il passo ad intermittenza al Pan di Spagna imbevuto di profumata bagna. L’accenno al morso in principio incontra la glassa, una soluzione dolce che sovrasta su tutto, che inizia a far vibrare vertiginosamente le corde del nostro gusto, i canditi poi, ci ricorderanno i fasti di una Sicilia spagnoleggiante, e via via affondando i denti il morso incontra il marzapane, “mmmm…” che goduria sentire tra i denti la pasta reale, perché è così che si chiama in Sicilia il composto di mandorle e zucchero cotto. Pervade l’estasi!
Procediamo senza distrazioni, anche se t è assai difficile, il nostro morso incontra con voluttà la crema di ricotta, che è un “tutto dire”, e ci sentiamo mancare, ed essa che ci riporta di forza alle origini, a quando la Sicilia era colonia greca, e alla ricotta, che per addolcirla, era uso mischiarla al miele, unico dolcificante conosciuto all’epoca. A dover di cronaca, bisognerà aspettare gli arabi per iniziare ad utilizzare lo zucchero in Sicilia, non dimenticando che lo zucchero permetteva di conservare nel tempo, visto che non esistevano i frigoriferi. Pervasi da scariche oscillanti che si alternano tra estasi e profondo piacere, la cremosità si interrompe con gocce di cioccolato che ci costringono a cambiare ritmo e intensità nella masticazione. Oddio il cioccolato, compare nella cassata solo dopo la scoperta delle Americhe da parte degli spagnoli, e se la Sicilia, com’è risaputo fu terra spagnola dal 1500 al 1700, è facile pensare da chi sia stato importato nell’isola. Per la frutta candita, immancabile anch’essa nel dolce, si attingerà dal patrimonio gastronomico dell’impero romano che già a quei tempi riusciva a conservare frutta sotto miele, per poi arrivare ai capolavori della pasticceria dei Monsù, da monsieur, signori insomma “cuochi” di corte, che con i loro splendidi merletti di ghiaccia reale, mettevano in scena tutta l’irriverenza dell’arte barocca. La cassata, meraviglia e ricercatezza della pasticceria conventuale dell’isola, che, come tanti altri dolci siciliani, si continuava a preparare per la strana esigenza dell’essere umano di tributare con i giusti ringraziamenti il divino. Le monache ci sapevano fare bene con i dolci oltre le inferriate, tra le rigide regole del convento, che imponevano loro continue mortificazione dei sensi, diventarono custodi della nobile arte pasticcera siciliana. La cassata, è un tesoro tutto siciliano, e come tale va custodito, preservato. Ah la cassata… come una chimera che si scrolla via la cenere di dosso, continua a stupirci, e se fatta bene, ieri come oggi, è un gioiello di rara bellezza.
Calogero Matina -Kalos






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