La cucina del popolo, in Sicilia, ha sempre avuto il sapore del sale, è sempre stato così, fin dalla notte dei tempi, d’altronde che volete, la storia dell’isola parla chiaro. Il cibo conservato sotto sale, si manteneva nel tempo, e se il dolce, quaggiù, per tanto tempo denoterà la cucina d’èlite, la cucina aristocratica per intenderci, quella del popolo sapeva soprattutto di sale.
Il dolce del ricco e il sale del povero. Il signore che mangia cibi freschi, e il contadino no. E così nella storia gastronomica isolana le carni, i pesci, i formaggi, le verdure arrivavano sulla mensa contadina con un monotono sapore di sale. La grande sete che ne derivava contribuirà, certo, a spiegare l’uso di vino che ha accompagnato per secoli il consumo di cibo.
In passato il sale era come l’oro, proprio così, tanto da essere considerato come una vera e propria moneta di scambio nel baratto, non dimentichiamo che gli stessi soldati dell’impero romano venivano pagati con il sale. E se le parole hanno tutte una loro storia, un loro significato, un loro perché, il termine “salario” deriva proprio da sale.
Il cuore della nostra bella Sicilia, è attraversato da un fiume, il Salso, per l’appunto “salato”. È dalle parti di Capodarso, che esso passa imperterrito attraverso canyon di rara bellezza, e trasporta sé stesso perennemente sporco di sale misto a zolfo. È proprio a Terrapelata che vivevano i minatori, nient’altro che schiavi sottopagati delle “pirere”, le miniere per intenderci, uno spacco di terra talmente arsa dal sole, da prendere il nome di terra pelata… Tra le vette delle Madonie, lassù in alto in alto, c’era Petralia con il suo sale, era quasi irraggiungibile e sembrava una cattedrale. Allora ci si muoveva a dorso di mulo con i sacchi carichi di sale, arrampicandosi tra i sentieri impervi delle montagne, il sale veniva commercializzato con il sudore della fronte e l’arsura del sole.
Certo che possedere uno “scecco”, un asino insomma, era una gran fortuna, non dimenticando che per tanto tempo fu l’unico mezzo di trasporto. Possedere uno scecco, insomma, rappresentava “la possibilità di farcela” e faceva veramente la differenza tra essere un benestante ed un morto di fame. Il sale in Sicilia veniva estratto anche nelle miniere di Racalmuto e Realmonte, e se ulivi, viti e ficodindia erano il paesaggio del territorio soprastante, sotto, nelle viscere della terra, alla vista di pochi, c’era un grande teatro fatto di sale. La Sicilia e il suo sale, montagna e mare, il sotto ed il sopra, ad alternarsi come una contro-danza i meravigliosi mulini a vento di Mozia, i cumuli bianchi di Favignana, le affascinanti gallerie sotterranee di Pasquasia tra Enna e Caltanissetta. Il tempo passa per tutti, anche per lui, ci riferiamo al nostro Mediterraneo, che con i suoi sollevamenti tettonici, i terremoti, le erosioni, con il cambiare della sua stessa salinità, ha dato vita, in Sicilia, ad un mondo, fatto tutto di sale.
Questa nostra isola ricca di storie di “scecchi” e di bisacce, non trasporta più il sale tra selle e speroni.
Ci siamo evoluti anche noi, che credete? Ma non per questo dimenticheremo mai il senso delle parole. Si diceva un tempo come si dice ancora oggi: botta di sale, un’imprecazione, che se ci pensate bene, non ha nulla alla pari, per dirla breve una sorta di strana macumba tutta siciliana, un maleficio che serviva ad augurare tutto il male possibile a qualcuno. E allora… “botta di Sali” .
Calogero Matina- Kalos






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