Da bambina ero convinta che mia madre, mio padre e mio fratello fossero dei supereroi capaci di realizzare qualunque mio desiderio perché tutti e tre, ognuno a modo proprio, costituivano un granitico concentrato di certezze.
Avevano risposte a ogni domanda, cerotti per ogni ferita.
Mio padre soprattutto era un bulldozer ovunque e con chiunque, guardava ogni persona dritta negli occhi senza il benché minimo timore e andava dritto verso l’obiettivo.
Ma, ahimè, i miei genitori avevano il loro tallone d’Achille: non tolleravano la mia tristezza, che per loro era come la kryptonite per Superman, al cui apparire si frantumavano in minuscoli pezzettini.
Fu alloca che mi resi furbescamente conto che i superpoteri dei miei genitori avevano come fine ultimo il raggiungimento della mia felicità.
Quindi io, che li ho sempre amati perdutamente, cercai di non deluderli e diventai una scolaretta modello: mi comportavo sempre in maniera gentile ed educata con tutti, leggevo tanto, ero sempre sorridente e allegra, coltivavo tanti amici e cercavo di lasciare ovunque un buon profumo. Volevo in ogni modo e in ogni “dove” fare bella figura ed ero convinta che “sorridere alla vita” fosse la strada giusta.
Oggi credo che quella fu una logica perversa e sbilenca perché il seme dello sconforto è assolutamente necessario.
Se non gli viene concesso il giusto spazio lui continuerà a crescere nell’ombra e prima o poi soffocarci.
Fu allora che decisi di dare un nome a una delle mie bambole preferite e la chiamai “Maria Tristina”, con lei potevo dare libero sfogo a tutte le mie tristezze, alle mie paure, alle mie ossessioni e ai miei piccoli (ora cresciuti) demoni dispettosi. Maria Tristina (ancora in vita, sia lode alla Mattel) accoglieva le mie malinconie senza rivelarle a nessuno e mi ha praticamente salvato la vita perché mi ha insegnato ad accogliere il dolore, a viverlo, a conviverci, a ironizzarci ed a trasformarlo.
Ostentare felicità sicuramente ingentilisce la vita, ma ci rende incapaci di fare amicizia col dolore che è quanto di più prezioso la vita possa concederci.
Insomma grazie a Maria Tristina io ho imparato a far spazio al dolore, a guardarlo negli occhi, a toccarlo.
NON MI PIACE crogiolarmi nella sofferenza, preferisco che Essa mi attraversi. MI PIACE quando si fonde con i miei sorrisi perché credo che li renda più limpidi e veri.
Giusi Lo Bianco






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