Rubrica a cura di Valeria Barbagallo
Danzavano i tràgoi, i satiri, camuffati com’erano indossando pelle di capra, per festeggiare i rituali in onore del dio Dionisio, dio del vino, siamo ad Atene durante le grandi Dionisiache che venivano celebrate verso fine marzo. Venivano intonati i ditirambi (canti) per l’occasione, cantati dal “Coro” e da un loro capo il “Corifèo” il loro numero spaziava dai dodici sino ad arrivare ai quindici coreuti, era compito del corifèo dialogare con l’attore. La nascita della tragedia greca va proprio collegata all’antico culto di Dionisio, siamo nel VI sec. a.C. La stessa parola “tragedia” ha origine etimologica dal greco “tragodìa” il canto dei capri, tragos- capro e oidè- canto.
I tragediografi dell’epoca dovevano, di anno in anno, mettere in scena una trilogia, in parole povere, dovevano ciascuno comporre un dramma satiresco e tre tragedie aventi in comune un personaggio e una storia propria. Per affrontare le spese necessarie per la messa in scena della trilogia si ricorreva all’aiuto di un ricco cittadino, e questo era motivo di fama e onore sia per il benefattore, ma anche per tutto il sistema organizzativo.
La tragedia poteva affrontare argomenti di carattere storico, eroico e mitologico, destinati sempre a concludersi tragicamente, tranne qualche raro caso, lo scopo non era stupire ma indurre a riflettere, sensibilizzare. Elemento imprescindibile di ogni tragedia era il Pathos: la sofferenza, la commozione, la stessa passione. Assistere ad una tragedia significava per certi versi purificare gli animi degli stessi spettatori, riuscendo a liberarli dalle angosce e questo avveniva simbolicamente con la catarsi, per intenderci meglio, e se vivi il dolore sulla scena è più facile affrontarlo nella vita reale. Le parti liriche prevedevano il parodo: cantato dal coro che faceva il suo ingresso a ritmo di danza e gli stasimi: canti eseguiti dal coro tra un episodio ed un altro. Aristotele ci dà delle regole ben precise sullo svolgimento di una tragedia, e queste dovevano obbligatoriamente essere rispettate: l’azione doveva svolgersi in un unico luogo, il tempo stesso sulla scena doveva corrispondere a quello reale, pertanto la vicenda si concludeva in un’unica giornata. L’azione, inoltre doveva riguardare un unico avvenimento.
I tre massimi tragediografi greci dell’epoca furono: Sofocle- per lui la vita era caratterizzata dal dolore;
Eschilo- alla base delle sue opere c’era sempre il rapporto tra il destino e la responsabilità dell’uomo;
Euripide- tutto nasceva dal conflitto tra gli uomini, non tra l’uomo e la divinità.
L’attore in scena indossava il chitone, un alto cappello e i coturni, scarpe altissime con diverse suole, che l’avrebbero fatto sembrare più alto, immancabile doveva essere la maschera, dalla fronte prominente e con l’espressione fissa e la bocca aperta, indossava di caso in caso finte parrucche e barba. La tragedia iniziava generalmente con un prologo(discorso preliminare), che aveva la funzione di introdurre il dramma; seguiva sempre la parodo, che consisteva nell’entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l’azione scenica vera e propria si dispiegava su tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commentava, illustrava o analizzava la situazione che si stava sviluppando sulla scena; la tragedia si conclude con l’esodo (èxodos) che nella tragedia era la morte.
Alle tragedie partecipava l’intero popolo, era un vero e proprio rito collettivo. Incoraggiato dallo stato che offriva ad ogni lavoratore due oboli, essi pensate corrispondevano alle tre giornate di lavoro che perdevano per assistere alle rappresentazioni. La tragedia determinava nel popolo una presa di coscienza rispetto alle tensioni tremende dell’esistenza umana. La “Paideia” era la formazione dell’uomo greco cittadino, intesa come socializzazione a un insieme di valori e di precetti la cui trasmissione di generazione in generazione era considerata compito del cittadino. Il teatro era una delle istituzioni, se non la più importante tra le istituzioni, alle quali era affidata questa funzione.
Calogero Matina Kalos







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