L’estate è un tempo singolare per tutti.
Per qualcuno è la stagione della trasgressione, per altri quella della fuga, per altri ancora del relax.
Per me è il tempo degli esperimenti: mi cimento in attività ad alto rischio fallimentare tipo il giardinaggio, coloro infiniti mandala, mi iscrivo a corsi di danza biodinamica e scopro cibi improbabili tipo piante aliene, carote viola, pasta al vino e gelato alle olive. Per restare in tema guardo film d’autore polacchi con sottotitoli in russo.
Quest’estate ho voluto azzardare con qualcosa di piuttosto normale: pilates al tramonto.
Ho scoperto che si può fare un’immane fatica anche senza correre, saltellare come matti e sudare, e che chi pratica questi “sport gentili” in genere è anche più gentile nella vita.
La mia maestra di pilates non fa altro che ripeterci che siamo amore, che tutto è amore e che dobbiamo abbandonare qualsivoglia pensiero negativo.
Passione, compassione, devozione.
Assolviti, assolvi, ama e sii felice.
E mentre mi concentro con tutta me stessa sulle sue parole, nella singolare posizione del bambino felice, perdo totalmente la sensibilità degli arti e piano piano di tutto il resto. Lei, leggiadra ed eterea, passa tra di noi dispensando perle di filosofia e all’improvviso ci dice: “non mettete mai la vostra felicità nelle mani di qualcun altro perché potrebbe farla cadere”. E proprio in quel momento io riprendo conoscenza.
Ma come si fa a non mettere la felicità in mano ad altro e altri?
Ed ecco che il mio senso di inadeguatezza, di imperfezione, di interdipendenza cosmica si fa sentire e domina incontrastato la mia persona.
Sì, perché la mia felicità dipende da un sacco di roba “altra” da me stessa. Dipende dal chimico calciatore con cui ho deciso di condividere la mia vita, dipende dal mio lavoro che mi manda su e giù per l’Italia, dipende da tutti i no che la vita mi sbatte in faccia tutti i giorni, dipende da tutte le persone care, dipende dalla mia incapacità di farmi attraversare dal dolore e dal dargli la giusta direzione.
Le mie passioni prendono forma e sostanza nei miei amici, senza i quali non potrei coltivarle; nelle persone che mi hanno accompagnata e fatta crescere; nelle persone che hanno creduto e crederanno in me.
Insomma la mia felicità è un po’ “vampirica”, si nutre di felicità altrui.
Sono convinta che soli siamo ben poca cosa e la mia ambizione più grande è restituire la felicità che ricevo.
Giusi Lo Bianco






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