Il desiderio irrefrenabile di ingurgitare quanto più cibo possibile, ecco chi sono gli ingordi.
Siamo nel sesto canto della Divina Commedia e il grande Dante Alighieri pensa bene di posizionare nella terza cerchia dell’Inferno i peccatori di gola, travolti chissà per quale arcano motivo da un desiderio insaziabile di cibo. I poveri sono costretti ad ingoiare perennemente la fanghiglia generata da una incessante pioggia fredda e nera, 2sotto l’occhio vigilante di Cerbero, il cane a tre teste che li tormenterà con la sua presenza in eterno”.
Mentre per i golosi del purgatorio, ridotti a corpi scheletrici, Dante riserva un altro atroce destino, quello di camminare sotto alberi rivolti sotto sopra carichi di frutta, desiderando di poterne mangiare i frutti e non potendovi accedere soffrono maledettamente la fame.
La loro colpa? Aver commesso peccato di Gola.
Sono riusciti a distruggere la loro dignità, per colpa del loro ventre insaziabile, avari egoisti intenti solo ad appagare i piaceri terreni del cibo, tralasciando spudoratamente i principi della giustizia e del rispetto per gli altri.
Il solo ed unico obbiettivo? La sazietà e l’ingordigia, che nasconde in sé altri peccati come quello dell’avarizia, della superbia, dell’egoismo, ossessionati come sono dal cibo e dalla buona tavola.
Il peccato di gola, in tardo Medioevo, fu sicuramente una chiara manifestazione del progresso, in quanto cibi nuovi scandirono con il loro uso le tappe di una nuova corruzione morale.
Nella stessa esegesi biblica il peccato di Adamo ed Eva era scaturito dal divieto divino di cibarsi del frutto proibito, la mela, frutto tentatore.
Il primo peccato fu dunque il peccato di gola e si reputava che attraverso questo tutti i mali fossero entrati nel mondo.
Attorno a tavole riccamente imbandite stanno assisi i golosi, dal ventre voluminoso in atto continuo di mangiare. La gola di cui parla il grande Dante Alighieri, ci porta a compiere azioni maligne, ma il “viaggetto nell’oltretomba” è anche frutto d’attenzione di Cesare Zavattini che ci descrive così la fine di chi ha commesso peccato di gola: I golosi, poveretti, erano tenuti reclusi in ampie stanze, nel mezzo di ciascuna si trovavano pile interminabili di croccanti, di budini, di gelati, si affiancavano avvicendandosi in un sontuoso disordine.
Dappertutto rivoletti di rosolio e di vino passito scorrevano gorgogliando, come l’acqua fra l’erba dei prati, circondando la montagna dei cibi. I condannati assiepati intorno a quelle meraviglie, guardavano con gli occhi sgranati. Intanto i diavoli divoravano a quattro palmenti mugolando di giubilo, e taluno, battendosi il ventre, esclamava: “Questo è il Paradiso”. Udii un defunto che diceva a un diavolo: “Vuole scommettere uno schiaffo che in cinque minuti mangio cento sfogliatini?”Rispose il diavolo: “Marameo”.
Tra la rappresentazione del girone dei golosi di Dante e quello zavattiniano c’è un evidente abisso. La tavola è ricca di cibarie ed è molto più ‘mangiabile’. Il banchetto allestito è molto lontano dall’ambiente fangoso nel quale scontano la pena i golosi del VI canto. Ma su una cosa i due erano d’accordo il miglior modo di far espiare un peccato di gola a un goloso, ora come allora, è lasciarlo morto di fame.
Calogero Matina Kalos






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