PAROLA  ALL’ESPERTO –  AVV. ORAZIO ARENA


(rubrica a cura di Valeria Barbagallo)

ASSEGNO DI DIVORZIO: LE NUOVE REGOLE DELLE SEZIONI UNITE.

La Cassazione a Sezioni Unite,  con sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, è tornata sull’argomento relativo all’assegno di divorzio, mettendo la parola fine alle diatribe sorte dopo la rivoluzionaria sentenza della Cassazione n. 11504/2017, che aveva ribaltato i principi alla base dell’assegno di mantenimento.

Evoluzione giurisprudenziale negli anni

La Corte di Cassazione, con la sentenza 11490/90, statuiva che per la determinazione dell’assegno di divorzio, occorreva fare riferimento alle condizioni di vita in costanza di matrimonio, condizioni che dovevano essere mantenute anche a seguito del divorzio.

La sentenza 11504/2017, invece, supera definitivamente il criterio del mantenimento del medesimo tenore di vita in favore del coniuge più debole, fino ad allora alla base dell’assegno divorzile, subordinando il diritto dell’ex coniuge all’assegno post-matrimoniale alla sua mancanza di autosufficienza economica.

Questa pronuncia era stata accolta con pareri discordarti perché, mentre per qualcuno era innovativa ed al passo con i tempi, per altri ledeva i diritti maturati dal coniuge più debole in costanza di matrimonio.

Con la recente sentenza sentenza n. 18287/2018 le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale, e chiariscono che l’assegno divorzile ha natura assistenziale, risarcitoria e compensativa, e che il giudice, nel determinare l’assegno a favore del coniuge economicamente più debole, deve procedere alla «valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali», dando «particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto.

Ciò significa che nella determinazione dell’adeguatezza dei mezzi in capo al coniuge economicamente più debole deve tenersi conto del contributo che questi ha prestato alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e allo svolgimento della vita familiare. In altri termini, fermo restando che il coniuge che non sia economicamente autosufficiente ha diritto all’assegno in base al criterio assistenziale, anche il coniuge che sia economicamente autosufficiente avrà diritto all’assegno in base al criterio «contributivo-compensativo», che impone di tener conto degli elementi sopra indicati.

Mediante l’applicazione di quest’ultimo criterio si evita che lo scioglimento del matrimonio determini un arricchimento ingiustificato proprio a favore del coniuge economicamente più forte e a danno dell’altro.

Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo».

In pratica l’assegno non riequilibra il tenore di vita tenuto durante il matrimonio, non essendo questa la sua funzione, ma è, invece, un riconoscimento del ruolo e del contributo fornito nella realizzazione della vita familiare anche in considerazione delle eventuali aspettative economiche e professionali sacrificate, dell’età del richiedente e della durata del matrimonio.

Le Sezioni Unite motivano la propria decisione sottolineando inoltre che «contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale».

In conclusione, l’assegno post-matrimoniale può anche avere l’effetto di riequilibrare le situazioni patrimoniali dei due ex coniugi, ma ciò deve derivare dal riconoscimento del ruolo svolto dall’ex coniuge economicamente più debole all’interno della famiglia e del contributo fornito dal medesimo alla realizzazione della situazione comparativa attuale.

Orazio Arena

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