Margini ristretti e mercati finanziari altalenanti, sono stati i motivi principali per i quali oggi si chiede ai consulenti finanziari di guardare oltre. I clienti retail, ovvero i privati, non saranno i soli nell’agenda del consulente. Adesso dovrà inserire appuntamenti con imprenditori di PMI, per implementare la clientela. Accettare questa sfida, per molti nuova, non sarà certamente una cosa semplice, perché se da un lato è vero che dietro una piccola o media impresa ci sta il guadagno destinato alla famiglia, dunque un potenziale retail , dall’’altro occorrono competenze in materia e prodotti ad hoc.
La competenza non risiede solo nella conoscenza del settore imprese, ma anche il dover accompagnare l’imprenditore, educandolo, ad una pianificazione patrimoniale a 360 gradi. È comprensibile il grado di responsabilità a carico del consulente che determinerà l’impiego degli utili in investimenti, in risparmio o previdenza, a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere.
La Mifid II, ovvero la normativa Europea a tutela del cliente, incentrata sulla trasparenza e adeguatezza, ha imposto anche la massima chiarezza sui compensi ai consulenti, determinando a volte lamentele sui margini di guadagno ritenuti elevati e dietro front su alcune operazioni.
Ecco il perché dei restringimenti dei margini, e la ricerca di nuovi orizzonti. Inoltre, il fenomeno della disruption ha reso più difficile il mestiere del consulente. Infatti, se in Usa ed in Asia il tech domina i listini, nel Vecchio Continente molti settori rischiano con il sopravvento di questo fenomeno. L’innovazione tecnologica diventa il vero competitor del consulente,ma il problema di fondo è che il cliente si confronterà con “algoritmi” piuttosto che con i “fondamentali”, si affiderà a calcoli statistici, ma non all’esperienza previsionale, alla conoscenza dei mercati azionari e obbligazionari e alla politica economica mondiale.
D’altro canto questo rischio non è neppure arginato dalle Autorithy e dalla Politica. Basti pensare alla privacy, al diritto d’autore, che con noti social network sono messi sotto accusa in Europa, all’e-commerce incontrollato, che ha tolto posti di lavoro.
A dirla tutta il mercato europeo è ancora abbastanza caro, e sebbene sia attrattivo per i beni di lusso, aerospaziali e tecnologici, trova grandi ostacoli nella presenza massiccia di banche, energia, chimica e produttori d’auto, poco allineate con la crescita economica e con la velocità tecnologica.
Siamo davvero pronti alle competizioni tecnologiche, o l’Europa ha perso il treno? Il consulente riuscirà in questa nuova sfida, con le turbolenze sui mercati?
Valeria Barbagallo






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