Quest’anno il 16 maggio ricorre il 73° anniversario della emanazione dello Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Siciliana. A differenza di tutte le altre regioni, lo statuto siciliano nasce da un “patto di pace” tra lo stato italiano e il popolo siciliano in armi. Nasce dal risultato di una lunga trattativa mirata a dare una via d’uscita, pacifica ed onorevole, ad una situazione conflittuale con stati d’assedio, lotte di massa, dimostrazioni, guerriglia, morti e feriti da ambo le parti, non ultimo, con la presenza dell’E.V.I.S. (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia), comandato prima da Mario Turri (Antonio Canepa) e successivamente da Secondo Turri (Concetto Gallo). Ecco perché i maggiori costituzionalisti parlano di “origine pattizzia” dello Statuto Siciliano. Bisogna considerare che lo statuto è anche funzione riparatoria per i danni derivati e derivanti alla Sicilia dall’annessione del 1861,che,seguiva l’occupazione anglo- sabauda-garibaldina del 1860. E uno statuto inserito nella costituente italiana. Ma la validità dello statuto non cambia, il fatto è che non sia stato mai applicato integralmente, anzi è stato mutilato e vanificato.
Lo statuto, e l’autonomia siciliana sono stati gestiti, sempre dalle segreterie dei partiti politici di Roma, dominanti di volta in volta in Sicilia, in un clima di consociativismo permanente, dalle maggioranze che dalle opposizioni.
Gli uni e gli altri, quasi sempre votati all’ascarismo e certamente di cultura contrastante con la storia dell’autonomia siciliana, ed esse stesse impegnate nell’antisicilianismo. Rare volte si sono verificate dissociazioni, che la regione siciliana, anziché essere strumento di autogoverno, di progresso di democrazia e di crescita economica, politica e morale del popolo siciliano, sia diventata di fatto strumento dei partiti italiani e dei loro rappresentanti in Sicilia per una politica di clientelismo, di lottizzazioni, di penetrazione colonialista, capillare, di maggiore asservimento agli interessi continentali. Con le conseguenze che oggi bruciano sulla pelle del popolo siciliano. Pare ovvio che, in queste condizioni l’autonomia siciliana può essere tutto ma non potrà mai essere l’alibi per la responsabilità ed i disastri provocati dagli uomini e dalla classe politica che hanno gestito la regione siciliana e ne hanno tradito lo statuto con tutti i diritti costituzionali del popolo siciliano.
I siciliani, nel denunciare quanto sopra, ribadiscano che, se si vuole parlare seriamente di legalità in Sicilia, si deve applicare, nella integrità del suo testo, lo statuto siciliano. Ribadiscono altresì che la vera riforma federalista, della quale lo stato italiano ha estrema necessità, debba passare attraverso l’applicazione e la evoluzione dello statuto stesso, le cui validità, attualità e valenze giuridico – politiche sono state confermate dalla storia e dalla cronaca di questi 73 anni. E dal forte vento di rinnovamento e di giustizia che soffia sull’Europa del terzo millennio. In questi 73 anni, solo due presidenti della regione, hanno cercato di applicare, anche in parte lo statuto. Nel 1959 durante un rimpasto di governo, si determinò un fatto per alcuni stravolgente, per altri positivo. Silvio Milazzo democristiano, che aveva partecipato alla lotta indipendentista, fu eletto presidente della Regione Siciliana, con i voti di democristiani dissidenti, comunisti, missini, liberali, monarchici, un vero scandalo politico per quei tempi. Quei quasi due anni di presidenza Milazzo, forse sono stati i migliori, di tutti i governi succedutesi in Sicilia, Milazzo diede un impulso alla economia siciliana, rilanciando le miniere di zolfo (in seguito chiuse da altri governi). Aprì il casinò a Taormina in barba allo stato italiano. Cercò con tutto il governo di Palazzo d’Orleans di defiscalizzare i prodotti petroliferi in Sicilia. Iniziando a lottare con lo stato italiano. Ma era la fine della legislatura i siciliani tradirono Silvio Milazzo, che non ottenne quello che si meritava in numero di voti. Altro presidente che diede dignità alla Sicilia è stato il democristiano Rino Nicolosi negli anni 70/80. Salvò dalla disoccupazione migliaia di lavoratori fuorusciti dalle varie aziente Espi.

Il 17 giugno ricorre anche il 74° anniversario dell’agguato mortale avvenuto nel 1945 in contrada Murazzuruttu alle porte di Randazzo in provincia di Catania dove fu decapitato l’EVIS (Esercito Volontari Indipendenza della Sicilia). Con la Morte di Antonio Canepa, 39 anni, nome di battaglia (Primo Turri), Carmelo Rosano 26 anni (Carmelo), Giuseppe Lo Giudice 18 anni. In sei i guerriglieri separatisti con un motofurgone “Guzzi 500 targato EN 234, da Brolo andavano a Francavilla entrambi comuni in provincia di Messina, per rilevare una quantità di armi nascoste in casa di una zia di Canepa. Ma alle porte di Randazzo forse per una spiata si imbatterono con i carabinieri . Ci fu uno scontro a fuoco, Rosano, Canepa, Lo Giudice morirono, Antonino Velis e Giuseppe Amato riuscirono a fuggire. Insieme ai cadaveri dei tre fu mandato al cimitero di Jonia (Giarre e Riposto) ancora vivo messo dentro una bara Armando Romano. Si salvò in quanto il custode del cimitero Isidoro Privitera, la sera si accorse che in quella cassa vi era qualcosa di anormale, aprendola scopri l’orribile misfatto che si stava consumando. Chiamò aiuto, a Romano furono prestati i soccorsi portato in ospedale ed ebbe salva la vita. Quello di Romano, resta un incomprensibile mistero. Come mai un uomo ferito portato all’ospedale di Randazzo viene dichiarato morto e mandato al cimitero? Ma anche i particolari dello scontro restano ancora avvolti da fitto mistero. Fu agguato teso dai carabinieri informati da una spiata del passaggio degli indipendentisti. O fu un fatto casuale. E perché Romano ancora vivo fu chiuso in una bara? A Murazzoruttu venne eretta una stele ricordo, ogni anno meta di pellegrinaggio di tanti Siciliani. Canepa, Rosano, Lo Giudice e Francesco Ilardi, morto dopo alcuni giorni per altro fatto, riposano in una tomba comune nel cimitero di Catania nel viale degli uomini illustri. Sicuramente lo stato italiano concesse alla Sicilia lo statuto appunto per i fatti succedutesi allora. Un fatto e certo Canepa, Rosano, Lo Giudice Ilardi, e tanti altri, non sono morti invano, per il riscatto del popolo siciliano. Ma è la Sicilia che li ha dimenticati.
Michele Milazzo






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