Quante volte si sentono frasi come “Stai zitta” oppure “Non vali niente”? Sono parole pronunciate da amiche, conoscenti o donne che si lamentano in televisione o sui social. Ogni giorno la figura femminile è vittima di minacce che, spesso, si trasformano in atti di violenza fisica o verbale.
Da sempre, le donne subiscono violenze dai propri partner e non solo, alla ricerca di un rifugio che possa dare loro libertà e riconoscere i propri diritti. Anche la pandemia da Coronavirus hacontribuito: la convivenza forzata, la perdita del lavoro, il valore economico ne hanno ingrandito la criticità.
Una donna cerca di trovare rifugio in centri antiviolenza, per essere tutelata ed aiutata; altre decidono di chiamare il numero rosa; mentre altre ancora si rivolgono a movimenti femministi che ribadiscono ogni giorno l’importanza della figura femminile nel mondo.
Irene, una promotrice del movimento femminista “Non una di meno”, della zona di Catania, ribadisce l’importanza della lotta: “Sin dall’inizio, noi lottiamo contro la violenza patriarcale che si abbatte su di noi in molteplici forme e lo facciamo organizzandoci, discutendo, facendo formazione e auto-formazione, scioperando e manifestando”.
“Lo scopo del gruppo – continua – è quello di portare avanti un discorso comune forte che renda visibile il carattere strutturale della violenza che colpisce le donne, indipendentemente dal loro orientamento, che metta in luce le condizioni materiali che riproducono la violenza nelle strade, nelle case, nelle istituzioni, nelle scuole, sui posti di lavoro, sui confini”.
Purché la donna possa proteggersi, l’unico strumento per rendere evidente una violenza, è la denuncia. Alcune donne ricorrono alla denuncia, oppure altre non riescono a parlare e continuano a vivere nella paura. Nonostante ciò, anche se arriva una denuncia, la probabilità che la vita di una donna si spezzi è molto alta.
“Alle denunce non seguono misure reali – ha aggiunto Irene -volte alla tutela e alla riabilitazione. Uno strumento che noi riteniamo fondamentale sarebbe un reddito di autodeterminazione che ci liberi non solo dalla violenza ma dalle condizioni sociali, diprecarietà e sfruttamento, che ci rendono più difficile rifiutare la violenza stessa”.
Giulia Manciagli






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