Una storia che affonda nelle radici della mitologia e della tragedia greca che punta dritta al cuore dello spettatore contemporaneo,schiacciando l’occhio alla tragicità del mondo attuale.
“Troiane” è un spettacolo scritto e diretto dal giovane drammaturgo Salvatore Cannova, ispirato all’omonima opera di Euripide. La vicenda ripercorre il destino delle donne Troiane, reduci dalla schiacciante vittoria subita dai Greci. I mariti uccisi, una città distrutta e un fato avverso fanno da cornice ai tragici avvenimenti che attendono le protagoniste, primo fra tutti la spartizione tra i vari generali greci.
Cannova riscrive il mito mirando all’attualità dei temi e alla rivoluzione della lingua. Lo spettatore se ne accorge sin dall’inizio, dal Prologo tra Atena e Poseidone, dove il gioco ironico della dea guerriera si contrappone ad un Signore dei Mari munito di secchiello e paletta.
A cominciare la vera tragedia è l’incursione del Coro di schiave troiane. Qui percepiamo la contaminazione della tradizione siciliana tanto cara a Cannova, determinando un ulteriore cambio di registro linguistico alla messinscena. A spiccare è il personaggio di Procne, che parla solo in dialetto ma comprende in greco antico ( entrambe lingue della saggezza ), e colei che “dàcorpo e voce a tutte le madri troiane”, Ecuba, moglie di Priamo. Incarnata in modo singolare nella veste di un attore, a differenza della tradizione tragica che la vede come “madre tra le donne”, ma come spiega il regista nelle note di regia: “il dramma della guerra colpisce qualunque essere umano senza alcuna distinzione”. Il personaggio di Ecuba è sopraffatto dalla sconfitta e da una vecchiaia quasi impercettibile da cui se ne evince una sola verità:non è più la regina di un tempo. La bravura dell’attore riesce però a conferire pacatezza e regalità al suo portamento ed è nel momento massimo di preghiera che ne intravediamo la forza.
Troiane è di certo una tragedia sui vinti ed anche gli stessi vincitori perdono di forza in confronto alle donne. Non si tratta però di un’opposizione tra buoni e cattivi, non è una semplice distinzione tra le donne troiane e l’esercito greco. Dietro questi due gruppi si nascondono due condizioni esistenziali del genere umano: i vincitori ed i vinti della guerra di Troia, che richiamano i vincitori e i vinti di ogni conflitto passato e presente. È il caso di Taltibio, soldato dell’esercito greco, messaggero del destino infelice di ciascuna delle protagoniste, restìo a proferire parole ingiuste e governato da un intimo rispetto per le donne troiane. Anche la figura di Menelao, riscritto in chiave de Sade, perde di forza in confronto a un’Ecuba che ancora una volta rappresenta le salde mura della città distrutta e la fiducia nel futuro. Un futuro soffocato dall’uccisione del giovane Astianatte, figlio di Ettore edi Andromaca, vestita in abito da sposa, quasi a simboleggiare l’eternità di un matrimonio mai compiuto. Astianatte cade per terra e ripetutamente viene rialzato dalla madre, fino a quando prenderà le sembianze di Alan Kurdi. Ecco che l’immagine diventa la rappresentazione più attuale dei morti di guerra. Così si conclude Troiane di Salvatore Cannova, uno spettacolo dove a parlare non sono solo i corpi stanchi delle madri troiane, o i vincitori greci. È soprattutto l’ambiente a risuonare di tragedia, in quel magnifico scenario che sono le Gole dell’Alcantara, dove il teatro prende corpo immerso in un religioso panorama naturale.
La bravura di Salvatore Cannova, ricavata dalle esperienze con Emma Dante presso la Scuola del Teatro Biondo, si evince non solo dall’accurata ricerca drammaturgica, nel rimodulare un testo di tradizione, ma anche nell’allestirlo in un teatro non convenzionale.
“Troiane” è in scena alle Gole dell’Alcantara dal 14 Luglio e ancora resterà lì fino al 4 Settembre.
Danilo De Luca






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