Dal 3 al 5 Febbraio Catania si veste di festa per celebrare la sua cara Sant’Agata. Le date sono legate al martirio della santa catanese avvenuto nel 252 d.C da cui partì subito una grande devozione divenuta festa ufficiale solo il 17 Agosto del 1126 quando le reliquie della martire ritornarono da Costantinopoli nella sua Catania.
Nel corso dei secoli fino ad oggi la festa ha subito grandi mutamenti con l’aggiunta di varie celebrazioni che affondano le radici nella tradizione popolare. Come ad esempio la sfilata dei votivi cerei, chiamati anche “cannalori” a rappresentare le varie corporazioni cittadine. Altre tradizioni, invece, perdute nel corso del tempo sono ritornano a vivere cariche di nuovi significati. Stiamo parliamo delle ‘Ntuppatedde.
Il termine “ntuppatedda” deriva dal vocabolo “tuppa”, ovvero la membrana che protegge il corpo delle lumache. Il significato di questa espressione rimanda al travestimento e al nascondersi perché la tradizione voleva che le ‘Ntuppatedde fossero quelle donne che travestendosi e nascondendo il viso non svelassero la propria identità durante i giorni della festa di Sant’Agata.
Il “diritto di ntuppatedda”, che dal Medioevo è durato fino alla fine dell’Ottocento, concedeva quindi alle donne la possibilità di girare per la città nei giorni fra il 4 e 5 Febbraio, ammiccando e ricevendo doni dagli uomini, sempre a viso coperto. Anche Giovanni Verga parla di questa tradizione nella sua novella “La coda del diavolo” tratta dalla raccolta “Primavera e altri racconti” del 1877, segno che ancora alla fine dell’ottocento la tradizione era ancora forte ma che di lì a poco sarebbe stata dimenticata.
Grazie all’artista e performer Elena Rosa questa usanza è stata ripresa dal 2013. La ripresa di una simile tradizione pone le basi nel forte istinto di cambiamento e rinnovamento simbolico che, per ricollegarsi alla festa di Sant’Agata, ne ha fatto l’esempio di rivendicazione di libertà ed emancipazione femminile.
Le ‘Ntuppatedde oggi vogliono essere lo sprone per la donne dei nostri giorni, ad essere madri, mogli, figlie libere per una Santa che coniuga tradizione e innovazione, sacro e profano.
Danilo De Luca
Foto di Massimo Vittorio






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