E se la Sicilia non fosse la vera patria dei Ciclopi ?


L’Odissea rappresenta uno dei pilastri della cultura classica occidentale e il più celebre tra i Nostoi (Nόστοι, “ritorni”), una serie di poemi greci appartenenti al ciclo epico che raccontano il ritorno degli eroi achei dopo la caduta di Troia, avvenuta il 24 aprile del 1184 a.C. Diviso in ventiquattro libri, questo poema epico narra le peripezie di Ulisse durante i dieci anni trascorsi dalla sua partenza da Troia fino al ritorno nella sua patria, Itaca.

La localizzazione precisa dei luoghi visitati da Ulisse si rivela un’impresa complessa, poiché il testo fornisce pochi elementi concreti che possano consentire un’identificazione indiscutibile. Sebbene la maggior parte dei luoghi citati sembri situata nel Mediterraneo, alcuni studiosi hanno ipotizzato che Ulisse possa aver navigato anche nell’Oceano Atlantico o addirittura che tutta la sua avventura si sia svolta nel Mar Baltico, secondo la teoria dell’Omero nel Baltico.

La Sicilia è tradizionalmente identificata come la terra dei Ciclopi. Nel nono libro dell’Odissea, Omero descrive la terra dei Ciclopi come un luogo selvaggio e rigoglioso, dove grano, orzo e viti crescono spontaneamente grazie alla pioggia di Zeus. Di fronte alla costa dei Ciclopi, c’è un’isola ricca di prati e viti perenni, identificata comunemente con Aci Trezza e la provincia di Catania. Le Isole dei Ciclopi, che come ben sappiamo sono un piccolo arcipelago di scogli basaltici di origine vulcanica, sarebbero secondo la leggenda i massi scagliati da Polifemo contro Ulisse in fuga. Omero narra infatti che Polifemo scagliò una cima di monte contro la nave di Ulisse, sollevando poi un masso ancora più grande.

Tuttavia, alcuni studiosi, tra cui il francese Victor Bérard e l’italiano Carlo Raso, suggeriscono una diversa collocazione per l’isola di Polifemo. Secondo Bérard, Tucidide, nel suo “La Guerra del Peloponneso” (VI, IV, 5), menziona Cuma come la terra degli Opici, che Bérard identifica con il popolo degli occhi. Da questa prospettiva, la vicina isola di Nisida potrebbe essere l’isola di Polifemo. Chiamata dagli antichi Nesís (dal greco, isola) e Nesida(dal greco, piccola isola), Nisida presenta infatti due enormi scogli a forma di guglia chiamati “da Levante” e “da Ponente” che si trovano ai due lati opposti dell’isoletta e potrebbero corrispondere ai massi lanciati dal gigante. In più Nisida era semi disabitata ed era la terra delle “caprette”, proprio come l’isoletta in cui sbarcò Ulisse insieme ai suoi. Inoltre, Bérard suggerisce che la Grotta di Seiano, un tunnel romano del I secolo, potrebbe essere l’antro di Polifemo, con le sue dimensioni imponenti che si accordano con la descrizione omerica. E se la Nisida, cantata da Edoardo Bennato e ripresa nel nome della protagonista di Alexandre Dumas nel suo “Due delitti celebri”, fosse proprio il luogo in cui approdò Ulisse prima di salire alla grotta del gigante Polifemo? Molti studiosi concordano sul fatto che l’eroe omerico sbarcò proprio sulle rive di quest’isola per poi dirigersi verso la grotta, il problema però contiene una incongruenza, perché la Grotta di Seiano, un traforo lungo 770 m venne scavato dall’architetto Lucio Cocceio Aucto per volere di Marco Vipsanio Agrippa in epoca romana nella pietra tufacea della collina di Posillipo, quindi circa 10 secoli dopo i fatti raccontanti nell’Odissea da Omero. 

Insomma, nessuna di queste differenti ipotesi si è tuttora affermata definitivamente. Vi sono però dei dati certi: dei navigatori Greci provenienti da Eubea, Calcide ed Aulide in Beozia dall’VIII secolo a.C. promuovono spedizioni coloniali verso le terre d’Occidente ed arricchiscono il mito arcaico tramite le proprie effettive esperienze marittime; nel suo racconto, l’autore dell’Odissea arricchisce questa materia tramite una forma epica. Nella vicenda di Ulisse in quanto navigatore e del ciclope Polifemo in quanto luogo e popolazione locale si ritrova dunque una rappresentazione del mondo Mediterraneo e dei suoi confini, limiti e rischi, quali i Greci conoscevano nei secoli VII secolo a.C. e VI secolo a.C. 

L’unica certezza è che l’Odissea continua ad affascinare studiosi e appassionati, offrendo non solo un racconto epico delle avventure di Ulisse, ma anche un affascinante enigma geografico che stimola ipotesi e ricerche. La sua influenza perdura nel tempo, mantenendo viva la curiosità e il dibattito sulle reali località dei suoi leggendari scenari.

Danilo De Luca

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