Il Comune di Catania ha ufficializzato la candidatura della città al titolo di “Capitale Italiana della Cultura 2028”, segnando l’inizio di un percorso che potrebbe rappresentare un’opportunità concreta per affrontare alcune delle criticità storiche della città.
Una visione oltre gli eventi: cultura come leva di trasformazione
Il Ministero della Cultura attribuisce ogni anno il titolo di “Capitale Italiana della Cultura” a una città italiana, accompagnandolo con un finanziamento di un milione di euro, da integrare con risorse locali. L’obiettivo è realizzare un anno di programmazione culturale capace di promuovere coesione sociale, innovazione, sviluppo economico e benessere collettivo. Non si tratta solo di organizzare eventi o di rafforzare la reputazione, ma di un’occasione per ripensare la cultura come leva di trasformazione urbana e sociale.
Per supportare la candidatura, l’Amministrazione comunale ha pubblicato un avviso pubblico per selezionare un operatore economico specializzato che accompagnerà il percorso di candidatura. Il professionista o soggetto selezionato avrà il compito di supportare l’ente in tutte le fasi cruciali: dalla progettazione culturale alla comunicazione strategica, fino alla redazione del dossier ufficiale di candidatura.
Una visione oltre gli eventi: cultura come leva di trasformazione
Il titolo di Capitale Italiana della Cultura non si limita a una serie di eventi, ma rappresenta un’occasione per ripensare la cultura come strumento di trasformazione urbana e sociale. Numerose esperienze in Italia dimostrano come la cultura possa generare impatti duraturi: musei e biblioteche diventati spazi educativi, teatri trasformati in luoghi di inclusione sociale, rigenerazioni urbane a base culturale in contesti periferici.
A Catania, la partecipazione culturale si attesta a circa il 24%, ben al di sotto della media nazionale del 36%, e scende a quasi il 20% tra i minori. La scarsità di presidi culturali fuori dal centro storico, dove vive appena il 18% dei residenti, si somma a gravi diseguaglianze sociali. La candidatura può diventare un’occasione per ridurre questo divario, promuovendo una nuova partecipazione civica e culturale, fondata sulla collaborazione e sulla coesistenza tra le persone.
Obiettivi misurabili e sostenibilità
Per trasformare questa visione in realtà, il dossier dovrebbe individuare obiettivi chiari e azioni concrete. Occorreranno attività continuative, accessibili, diffuse, pensate per raggiungere le persone che oggi sono escluse dalla vita culturale. Un riferimento utile per una progettazione coerente è offerto dagli indicatori tematici Unesco per la cultura nell’Agenda 2030, citata esplicitamente anche nel bando. Tali indicatori permettono di valutare l’impatto delle politiche culturali su aspetti come: l’equità territoriale nell’accesso ai luoghi della cultura, il lavoro culturale dignitoso, l’educazione e la formazione artistica e multilingue, la partecipazione attiva e i processi decisionali inclusivi.
Il ruolo della comunità: coprogettazione e governance condivisa
Accanto ai contenuti, sarà decisivo anche il metodo: la delibera comunale parla di “percorso partecipato”; l’avviso rivolto agli operatori che accompagneranno l’Amministrazione di un “coinvolgimento attivo di enti, associazioni, istituzioni culturali, università, imprese e cittadini; di processi partecipativi e di ascolto del territorio; e di governance condivisa. Questo significherà coinvolgere cittadinanza, operatori culturali, realtà sociali e associative certamente nella consultazione, ma anche nella co-progettazione.
Le esperienze più efficaci di capitale culturale in Italia lo dimostrano: è nei processi condivisi che si genera valore aggiunto, visione, innovazione. La normativa sul terzo settore offre strumenti normativi adeguati, come la coprogettazione e la co-programmazione, peraltro più volte menzionate dall’Amministrazione; procedure che, va ricordato, vanno eseguite secondo linee guida ministeriali molto precise e dettagliate, che garantiscono la migliore qualità dei risultati e la maggiore trasparenza dell’agire pubblico.
Valeria Buremi






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