Troppo uso di Chat GPT tra gli adolescenti: l’allarme di Save the Children


L’intelligenza artificiale non è più un tema legato al lavoro o agli adulti: è ormai entrata nelle stanze, nei telefoni e nella quotidianità di tutti, specialmente tra gli adolescenti. ChatGPT e i chatbot sono diventati compagni di studio, assistenti o confidenti. Un fenomeno in crescita che, secondo le analisi condotte dall’associazione Save the Children, richiede oggi uno sguardo lucido: tra potenzialità educative e nuovi rischi per i minori.

A scuola come a casa, gli adolescenti si affidano all’IA per fare ricerche, scrivere testi, comprendere argomenti complessi e preparare interrogazioni. La rapidità delle risposte e la capacità di semplificare concetti difficili la rendono uno strumento quasi indispensabile. Non solo, l’IA riesce anche ad elaborare immagini, comporre musica, produrre video o inventare storie.

Secondo gli esperti di Save The Children, l’intelligenza artificiale avrebbe diversi aspetti positivi, se utilizzata con consapevolezza: di fatti, potrebbe ridurre le disuguaglianze educative; supportare chi ha difficoltà nello studio; offrire spiegazioni personalizzate; aiutare ragazzi con DSA o altri bisogni educativi.

Nonostante questi “benefici”, c’è un dato negativo che influisce nella vita quotidiana dei giovani e riguarda proprio lo spazio emotivo. Sembra che l’intelligenza artificiale sia diventata strumento e luogo per confidare ansie e incertezze. Un uso che può essere comprensibile, ma che apre tanti scenari diversi: i giovani prendono le risposte di tale strumento come oro colato, anche se queste risultano imprecise. 

Inoltre, molti ragazzi condividono con i chatbot informazioni personali senza rendersi conto delle implicazioni. A questo si aggiunge il rischio di isolamento: se il dialogo con un assistente virtuale diventa più semplice di quello con i coetanei, il confine tra supporto e dipendenza si fa sottile.

Lo scenario presentato da Save the Children sollecita un’azione coordinata tra adolescenti e i genitori: quest’ultimi dovrebbero spiegare ai ragazzi come funzionano questi strumenti, quali limiti hanno e come riconoscere un’informazione attendibile. Bisogna affiancare i giovani anche quando si è a scuola: non deve essere usata come scorciatoia, ma dovrebbe essere un’integrazione aggiuntiva nei programmi didattici. 

Per un uso responsabile dell’IA, essa stessa dovrebbe diventare una sfida verso una cultura responsabile 

Le famiglie dovrebbero favorire il dialogo sui dubbi e le paure legate alla tecnologia; le scuole integrare l’educazione digitale nei programmi. Il messaggio emerso dalle analisi di Save the Children è chiaro: l’IA non va temuta, ma governata. Ai giovani bisogna dare gli strumenti per non esserne spettatori passivi, ma protagonisti consapevoli.

Giulia Manciagli

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