Anche online la violenza è violenza: la nuova frontiera della violenza di genere


Negli ultimi anni, la violenza contro le donne ha trovato nuove forme e nuovi strumenti, non più soltanto nella vita reale, nelle case o per strada, ma sui nostri telefoni, sui social network, nelle chat. Quella che per troppo tempo si è percepita come una questione “da strada”, oggi si estende al mondo digitale, assumendo volti, spesso nascosti, altrettanto devastanti.

Un problema in crescita

La definizione di “violenza di genere” non può più essere limitata allo scontro fisico o verbale in carne ed ossa: anche le molestie, lo stalking, le minacce, il body-shaming online, rientrano a pieno titolo in fenomeni di violenza. 

Secondo un’indagine realizzata da Samsung Electronics Italia in collaborazione con Toluna, condotta nel novembre 2025 su un campione rappresentativo di 1.000 donne italiane tra i 16 e i 55 anni, quasi una donna su due (il 47 %) ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di violenza digitale. Nelle fasce 16–24 anni, la percentuale sale addirittura al 59 %. 

Le forme più comuni? Contenuti sessuali non richiesti, manipolazione emotiva, body shaming, hate speech, cyberbullismo, stalking digitale. 

Non si tratta più di casi isolati: la violenza online è sistemica, diffusa, capillare. E spesso silenziosa.

Perché la violenza online colpisce in modo subdolo

In un mondo sempre più connesso, come quello in cui viviamo, lo spazio digitale non è più una “zona franca”: è il nuovo luogo di interazione, confronto, partecipazione sociale. Ma è anche terreno fertile per abusi che lasciano segni profondi.

• Anonimato e distanza: l’assenza del contatto fisico, l’impossibilità di vedere in faccia chi ti aggredisce, dà un senso di impunità. Per molti autori, bastano uno schermo e una tastiera per far male.

• Normalizzazione e banalizzazione: molte forme di cyber-violenza vengono minimizzate, percepite come “brutte battute” o “commenti inopportuni”, anziché come violazioni reali della dignità e dei diritti. 

• Effetto moltiplicatore e risonanza: un insulto, un contenuto sessuale diffuso, un’immagine manipolata, tutto può essere condiviso, salvato, replicato. La vittima non può più “tornare indietro”: l’abuso resta, amplificato dalla rete. 

• Impatto psicologico reale: ansia, paura, vergogna, isolamento. La violenza digitale non lascia lividi evidenti, ma lascia ferite profonde: sulla mente, sulla libertà di espressione, sulla partecipazione sociale. 

Di cosa stiamo parlando davvero

Le violazioni possono assumere molte forme. Le più frequenti sono:

• Invio non richiesto di contenuti sessuali o foto intime;

• Body shaming e commenti sul corpo o sull’aspetto fisico;

• Hate speech e commenti misogini, sessisti, discriminatori;

• Stalkeraggio digitale, molestie ripetute, controllo attraverso strumenti tecnologici (chat, messaggi, follow continui);

• Deepfake, alterazioni digitali di immagini o video per umiliare, ricattare, intimidire.

Proprio la continua evoluzione tecnologica amplifica il pericolo: come evidenziato da un recente report citato dalla stampa internazionale, la tecnica del “deepfake non-consensuale”, ovvero la creazione e condivisione di immagini o video sessuali falsi raffiguranti una persona senza il suo consenso, è in crescita, rendendo la violenza digitale sempre più subdola e pervasiva. 

Più in generale, le stime globali suggeriscono che tra il 16 % e il 58 % delle donne e ragazze sono state vittime di qualche forma di violenza online almeno una volta. 

Perché non basta dire “non è fisica” 

Pensare che la violenza sia solo quella che lascia segni visibili, o che separare offline e online sia possibile, significa ignorare la trasformazione sociale in atto. Quando donne, ragazze, persone appartenenti a minoranze (etniche, LGBTQ+…) sono sistematicamente marginalizzate o silenziate online, non è solo un problema individuale: è una questione di democrazia, di libertà, di pari dignità. 

La violenza digitale colpisce la capacità di partecipazione delle donne alla vita pubblica, culturale e politica, limita la loro voce, la loro visibilità, la loro identità. 

Se accettiamo che “una battuta in rete” non possa fare male, rischiamo di normalizzare la discriminazione, di lasciare la porta aperta al prossimo attacco. Perché per chi subisce, l’impatto può essere devastante quanto un’aggressione «in presenza»: solitudine, paura, vergogna, perdita di fiducia, paura di partecipare, di manifestare opinioni, di essere se stesse.

Una sfida collettiva

Contrastare la violenza di genere online significa prima di tutto riconoscerla come tale. Non basta intervenire caso per caso: servono politiche, cultura, responsabilità condivisa.

• A livello europeo e internazionale, molte istituzioni chiedono ormai di considerare la violenza digitale come violenza “vera”, con conseguenze concrete e diritto di tutela. 

• Su scala nazionale serve rafforzare le leggi, rafforzare l’educazione digitale e sentimentale nelle scuole e nei contesti sociali, promuovere alfabetizzazione digitale, consapevolezza e empatia. 

• Le piattaforme digitali e i gestori dei social devono assumersi la responsabilità: moderazione più attiva, strumenti di segnalazione efficaci, protezione per vittime e testimoni.

• Infine serve un cambio culturale radicale: riconoscere che insulti, minacce, umiliazioni, stalking, manipolazione emotiva non sono “danni collaterali di un gioco”: sono violenza, e come tale debbono essere trattati.

Valeria Buremi

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